Congedo obbligatorio e congedo parentale: disciplina attuale e proposte di riforma - DONNEXSTRADA
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Congedo obbligatorio e congedo parentale: disciplina attuale e proposte di riforma

Congedo obbligatorio di maternità e paternità e congedo parentale facoltativo

La legislazione italiana prevede il  congedo obbligatorio e il congedo parentale.

In cosa consistono e qual è la differenza tra queste forme di astensione dal lavoro?

Il primo è un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che, attualmente, ha una durata diversa tra madre e padre: per le donne, il congedo di maternità obbligatorio  è di  cinque mesi, usufruibile e regolabile nei periodi prima e dopo il parto, e consiste in un’indennità pari all’80% della retribuzione. Per gli uomini, invece, il congedo di paternità obbligatorio è di soli dieci giorni, (fino al 2020 era soltanto di un giorno) non necessariamente consecutivi e retribuiti al 100%.

E’, inoltre, previsto il congedo parentale, che si distingue dal primo in quanto è facoltativo e al quale si somma.

Il congedo parentale spetta ad entrambi i genitori per la cura del bambino  fino al compimento del dodicesimo anno di età.

Attualmente, in caso di fruizione di congedo  parentale, la retribuzione è pari all’80% nel primo mese  e al 30% nei mesi successivi che possono arrivare ad un massimo di sei mesi per la madre e di sette mesi per il padre, qualora quest’ultimo si astenga dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi.

Inoltre, entrambi i genitori possono astenersi dalla prestazione lavorativa senza retribuzione in caso di malattia del figlio, fino ai 3 anni di età di quest’ultimo e per tutta la durata della malattia. Dai 3 agli 8 anni, invece, il periodo massimo di astensione è di 5 giorni all’anno. Se si chiede il permesso per malattia del figlio, però, può essere sospeso il periodo di congedo parentale.

 

Proposte di modifica del congedo obbligatorio nell’ottica di condivisione del lavoro di cura

Si è molto discusso, ultimamente, sulla necessità di prevedere una diversa formulazione del congedo obbligatorio rispetto a quanto oggi previsto e disciplinato.

Nella precedente legislatura si è, infatti, proposto di mantenere il congedo di maternità di cinque mesi e introdurre  un congedo di paternità obbligatorio di tre mesi con una copertura retributiva del 100%, sia per le madri che per i padri.

In questi ultimi mesi si è, inoltre, fatta strada l’ipotesi di  un “ congedo paritario”, ossia non più un congedo di maternità o paternità ma  un congedo di almeno tre mesi per entrambi i genitori, non trasferibile tra gli stessi e pienamente retribuito.

Una rimodulazione dei congedi improntata ad una visione della condivisione della cura e dell’accudimento avrebbe certamente notevoli ed importanti ripercussioni sociali, a cominciare da una minore crisi della natalità -spesso determinata dal fatto che, ancora oggi, mettere al modo e/o crescere un figlio è prevalentemente a carico della donna-, dall’aumento della percentuale di donne che continuano a lavorare dopo la maternità; in tal modo verrebbe ostacolata la suddivisione stereotipata del rapporto uomo (portatore di reddito nel nucleo familiare)- donna (mamma e moglie) che, frequentemente, sfocia in  violenza di tipo economico.

 

Indagini statistiche sull’utilizzo del congedo

L’indagine statistica  “Papà, non mammo. Riformare i congedi di paternità e parentali per una cultura delle condivisione della cura” commissionata ad Ipsos  da  WeWorld ed effettuata su un campione di mille genitori di figli al di sotto dei 18 anni ha evidenziato dati sconfortanti: un grande divario tra donne e uomini che hanno  usufruito del congedo obbligatorio, 203.168 le donne e  158.636 gli uomini; l’uso del congedo di paternità  diffuso e conosciuto soprattutto tra i padri più giovani (sono sei su dieci a chiederlo), mentre un padre lavoratore su quattro non ne ha  usufruito perché non ha ritenuto di volerlo fare; solo il 22% del campione intervistato sa che dura dieci giorni, e solo il 37% sa che è obbligatorio e  l’utilizzo dello stesso è piu diffuso nel settore pubblico rispetto a quello privato.

I dati sopra riportati fotografano un’organizzazione familiare fondata prevalentemente sull’attribuzione alle donne del lavoro di cura.

Un’ulteriore analisi, effettuata dall’INAPP ( Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) ha, infatti, evidenziato che, proprio per la difficoltà di conciliare maternità e lavoro,  in Italia una donna su cinque  ( tra i 18 e i 45 anni anni) non lavora più dopo la nascita di un  figlio; solo il 43,6% continua a lavorare, percentuale che si abbassa al 29% al Sud e nelle Isole.

 

Ripensare il ruolo della paternità

E’, quindi, necessario ripensare un diverso ruolo della genitorialità  da fondare sulla condivisione del rapporto di cura e sulla necessità di ridefinire il ruolo della paternità nell’ambito della coppia di genitori e della società.

In quest’ottica, ad inizio del 2023 è stato avviato il progetto 4E-PARENT- ESSERE PADRI, PRENDERSI CURA.

Il progetto, che prevede la formazione di personale sanitario ed educativo e  il coinvolgimento diretto dei padri, mira ad ottenere un ripensamento del ruolo genitoriale paterno  più consapevole e accudente.

Vengono, infatti, focalizzati importanti obiettivi da perseguire, quali quello del  diritto del bambino ad una presenza accudente di entrambi i genitori, di una condivisione tra genitori dei lavori domestici e di cura proprio per poter scardinare gli stereotipi del “ mammo” e del “portatore di reddito”, nella consapevolezza che un’evoluzione della paternità verso un modello accudente sia trasformativo  dei rapporti tra uomo e donna e costituisca un grande aiuto al mutamento culturale necessario al contrasto della violenza di genere.

E’, però, necessario che, contestualmente, vi siano delle politiche pubbliche che aiutino e accompagnino l’esigenza di una condivisione della cura attraverso  concreti piani di azioni per la genitorialità pienamente condivisa e, tra questi, appare essenziale una riforma dei congedi.

Avv. Stefania Billante

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