Denunciare o non denunciare: questo è il problema! - DONNEXSTRADA
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Denunciare o non denunciare: questo è il problema!

“Avvocato, posso denunciare?”; “Avvocato, non voglio denunciare”. 

Le vittime di violenza domestica e di atti persecutori talvolta non sanno nemmeno di essere persone offese dal reato; altre ne sono perfettamente coscienti, ma non vogliono presentare nessuna denuncia. 

Perché? Perché hanno paura. 

Se sono vittime del reato di stalking, hanno timore che gli atti persecutori aumentino, che da minacce e molestie gli autori passino a commettere altri più gravi delitti, come lesioni o omicidio. 

Durante il lockdown il numero antiviolenza 1522 ha ricevuto 6000 telefonate: solo 695 persone hanno presentato denunce. 

Se sono vittime del reato di maltrattamenti, provano grande preoccupazione poiché il compagno potrebbe perdere il controllo, offuscato dalla rabbia per essere stato denunciato e potrebbe per ‘vendetta’ realizzare condotte ancora più violente. 

Secondo i Centri anti-violenza la donna, prima di decidere se denunciare, vive per molti anni in una relazione dispotica che la danneggia sul piano fisico e psicologico. 

Inoltre, in base ad un rapporto Istat, oltre alla paura, le motivazioni che spingono le vittime a non denunciare sono legate all’aver imparato a gestire in modo autonomo la situazione (39,6% per le violenze da partner e 39,5% da non partner) o perché il fatto non era giudicato grave (rispettivamente 31,6% e 42,4%), ma anche il timore di non essere credute e la vergogna (7,1% e 7,0%), la sfiducia nelle forze dell’ordine (5,9% e 8,0%) e, nel caso della violenza nell’ambito della coppia, perché amavano il partner e non volevano che venisse sottoposto a un processo penale (13,8%). 

Alcune donne disarmate, stanche e intimorite mi pongono un’altra domanda: “Avvocato, ma lei denuncerebbe?”. Esse vorrebbero che io prendessi la decisione. 

Cerco di far capire loro che non posso decidere io. Posso solo rappresentare la situazione da un punto di vista giuridico, posso valutare se i fatti si inquadrino o meno in fattispecie penali, se sussistano o meno circostanze aggravanti. 

Ma la decisione va presa dalla vittima e, dunque, spesso concludono affermando “Avvocato, aspettiamo’. 

Cosa aspettiamo? Che l’autore del reato interrompa le condotte illecite? Oppure che ponga in essere un comportamento più grave dei precedenti? 

Casi come quello di Vanessa Zappalà convincono la vittima a non denunciare: viene presentata una querela, i giudici dispongono misure cautelari, gli indagati le infrangono e alcuni uccidono la vittima. A fronte di tali pensieri, non posso che dar loro ragione. 

Vanessa dopo aver denunciato per stalking l’ex fidanzato, dopo che lui tramite social network aveva preannunciato l’omicidio, dopo che il giudice aveva applicato il divieto di avvicinamento, l’ha uccisa. 

Tuttavia, non va dimenticato che ogni caso è differente e non denunciare non è la strada corretta: sperare che improvvisamente l’autore delle condotte di maltrattamenti o di stalking interrompa l’attività criminale, è utopistico. 

Si tratta di reati abituali che richiedono per la loro configurabilità una ripetitività della condotta e, infatti, purtroppo, è statisticamente provato che il comportamento violento e/o persecutorio continua e spesso col tempo peggiora. 

Nel 2020 la convivenza forzata tra donna e uomo “maltrattante” aveva, da un lato, comportato un aumento degli episodi di violenza, dall’altro aveva ridotto «drasticamente la possibilità di sporgere denuncia da parte delle vittime» come emerge dal Bilancio di responsabilità sociale 2019-2020 della Procura di Milano, presentato recentemente dai Pubblici Ministeri presso il Tribunale di Milano.

Le denunce sono aumentate nei primi tre mesi del 2021 con «la liberalizzazione della situazione sanitaria»: si è registrato un incremento delle denunce proprio per i delitti di maltrattamenti in famiglia e stalking: 561 nel primo trimestre dell’anno, contro i 502 in media per 4 mesi del 2020 per il primo reato da “Codice Rosso”, 340 contro 269 per il secondo.

Nel bilancio si segnala, infine, che «recenti indagini hanno evidenziato come elemento sempre più ricorrente che accompagna questi reati» è la «registrazione, tramite smartphone o altri device, dell’atto di violenza da parte dell’aggressore, che vede nella ripresa tramite filmati della donna-preda una sorta di ‘trofeo’».

Proprio la raccolta delle prove da parte delle vittime, è indice del fatto che esse vogliono denunciare: devono solo superare le paure e trovare il coraggio di farlo.

Avv. Stefania Crespi

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