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Donnexstrada. Uno sguardo di denuncia contro la violenza di genere

Attraverso un racconto per immagini di una violenza, Bianca Hirata indaga la condizione psicologica dello sguardo dello spettatore

venerdì 14 Ottobre 2022 Camilla Giaccio

Il racconto visivo di Bianca Hirata indaga la condizione psicologica dello sguardo dello spettatore dove l’arte diventa una possibilità di condivisione sensibile contro la violenza sulle donne

La Soho House di Roma ha ospitato, martedì 11 ottobre, l’evento di Donnexstrada, un’associazione no profit che si occupa di violenza di genere. Dedicato alla prima campagna fotografica del progetto Clara is, firmata dalla direttrice creativa e fotografa Bianca Hirata, l’evento ha visto Laura De Dilectis, psicologa clicina e CEO di DXS e Lorenzo Gasparrini, filosofo e scrittore, discutere su questioni e problematiche legate all’identità di genere con  l’obiettivo di ritrovare il valore di un’umanità troppo spesso offuscata e corrotta dall’ignoranza.

Hirata Bianca, CLARA IS. Courtesy l’artista

«Una società in cui le donne sono discriminate non può definirsi una società realmente civile e tesa al progresso e al benessere di tutti. Il nostro obiettivo è contribuire a creare una società senza discriminazione di genere, senza forme di violenza fisica e psicologica verso le donne. Promuoviamo il cambiamento della società attraverso strumenti semplici ed efficaci per difendere in concreto i diritti delle donne alla sicurezza», si legge nel comunicato.
In Italia la violenza di genere è un fenomeno ancora molto radicato. Finora nel 2022 ci sono stati 125 femminicidi, più di uno ogni tre giorni e in aumento rispetto ai 12 mesi precedenti (Report Viminale). Il 70 % delle donne ha subito molestie e apprezzamenti sessuali in luoghi pubblici. Il 33 % delle donne è vittima di violenza nel corso della vita. Una donna ogni quindici minuti subisce abusi. La violenza sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale non può e non deve più essere taciuta e screditata. Privare la libertà a una persona allo scopo di perpetuarne la subordinazione e annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico, psicologico o culturale, dovrebbe ormai essere parte di una grottesca e obsoleta storia. Purtroppo, non è ancora così. Sollevare consapevolezza e sensibilità sul gioco di potere che nel tempo si è fabbricato tra i generi non è impresa facile, perché accorgersi che l’identità di genere è costruita su una narrazione falsa richiede un lavoro profondo, sia individuale sia collettivo. Per riuscire a interessare un pubblico maschile e a farlo uscire da un discorso di colpevolezza, e quindi di difesa, necessita la presa di coscienza che la questione di genere rientra all’interno di dinamiche di natura storico-culturali e per questo modificabili.

Hirata Bianca, CLARA IS. Courtesy l’artista

La discriminazione nei confronti delle donne, troppo spesso percepite come oggetti di possesso, desideri, pulsioni, fantasie, involucri vuoti privi di identità, comporta soprusi di libertà inaccettabili che crea meccanismi automatizzati di autodifesa perché nel momento in cui anche camminare per strada in solitudine diventa pericoloso, sussiste un problema che va al di là dell’esperienza del singolo individuo. Esprimersi, muoversi senza paura dovrebbe essere un diritto per tutte e tutti. Per fare questo è necessario aiutare e dare supporto alle persone che subiscono discriminazioni nell’immediatezza del loro bisogno da un lato e dall’altro cambiare il paradigma patriarcale su cui è costruita la società aprendo un dialogo tra donne e uomini per studiarne la storia, decostruirne il passato e cambiare presente.

In risposta a questa esigenza nasce Donnexstrada, un’associazione no profit che si occupa di violenza di genere, in particolare della sicurezza in strada delle donne, rivendicando il diritto fondamentale di tornare a casa in sicurezza. Fondata dalla psicologa clinica Laura De Dilectis nel 2021, dopo la morte di Sarah Everardrapita e uccisa a Londra mentre rientrava a casa, il progetto vuole contribuire a creare una società senza discriminazione di genere, senza forme di violenza fisica e psicologica, promuovendo la partecipazione collettiva e supportando chiunque subisca discriminazioni. Attraverso una call to action su Instagram, l’iniziativa diventa subito virale e costruisce una rete di persone che si impegnano a costruire uno spazio sicuro per prevenire esperienze di violenza in strada e supportare chi invece ne è stata vittima. Attraverso una diretta su Instagram, è possibile farsi accompagnare virtualmente da una volontaria per tutto il percorso di cammino, fino all’arrivo in un posto sicuro. Grazie a questo servizio, le donne si sentono meno sole, spaventate, vulnerabili.

In occasione dell’evento alla Soho House di Roma, la fotografa e direttrice creativa di DXS Bianca Hirata espone la serie fotografica Clair is che ritrae una donna rinchiusa in uno spazio che avrebbe dovuto essere un luogo sicuro ma che invece non lo è affatto. La donna, spaventata, tenta di evadere e chiedere aiuto ma nel non ricevere alcuna risposta si dispera, si annulla completamente e non riesce a fare altro che spegnersi e morire. Attraverso questo racconto visivo crudo, sfocato, in bianco e nero, lo spettatore entra in contatto diretto con Clara e si immedesima nel suo sentimento di turbamento e angoscia causata da una violenza che potrebbe essere a tutti gli effetti reale. Come racconta Bianca: «I dieci scatti raccontano un’esperienza immaginaria di violenza, evitando di identificare un possibile carnefice. Vista la tematica, volevo fuggire da una rappresentazione letterale della violenza. Mi piace pensare che questi ritratti possano stimolare chi li guarda contemporaneamente un senso di empatia e rifiuto. Ci chiediamo: se vedendo una realtà rappresentata possiamo capirla meglio?». Le immagini, stampate su carta da poster, diventano in questo modo una denuncia al mondo delle innumerevoli ingiustizie nei confronti di chi viene considerato inferiore e debole. Non a caso la serie di scatti è esibita sotto il balcone del bar, in un posto nascosto, difficile, scomodo. Le immagini, scattate in pochi minuti, sono imperfette, sfocate, non scelte, come non è scelta la condizione di sottomissione e violenza a cui Clara è sottoposta. Nel mostrare la vittima nel suo tormento si entra all’interno della psicologia sia di un individuo incapacitato di fuggire da un pericolo, sia dello spettatore che diventa il testimone principale dell’accaduto. Il messaggio è forte e non lascia scampo alla mente di chi guarda. Al contrario, crea lo spazio per stimolarne la sensibilità, l’empatia, ma anche l’accusa e la richiesta di presa di coscienza. Il messaggio è allo stesso tempo rivolto anche alle donne per dire loro che non sono sole perché attraverso la condivisione si può risanare una ferita collettiva che riguarda tuttə. Il lavoro della fotografa per la campagna di Donnexstrada rientra in questo modo tra le iniziative artistiche volte a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, con l’obiettivo di incentivare le donne a denunciare gli abusi e non avere paura.

Hirata Bianca, CLARA IS. Courtesy l’artista

Comprendere le radici della disuguaglianza di genere e sfidare la discriminazione sono i primi essenziali passi da compiere per superare la facciata di moralismo che accetta di predisporre liberamente di un altro essere umano. Negare alle persone la libertà di scegliere il proprio percorso di vita a causa del loro genere impedisce loro di realizzare appieno il proprio potenziale e vivere leggere dal peso della subordinazione, della frustrazione, del dolore, dell’autocensura.
«Chi afferma di non essere una persona violenta e si domande perché tutto il genere maschile si debba mettere in discussione, non ha capito il significato della parola maschile, che non significa quelli nati con il cromosoma XY, significa il risultato di una costruzione culturale di cosa sia la mascolinità e che colpisce chiunque, uomini e donne. Una delle più notevoli scoperte che fai non appena ti approcci alle questioni di genere e ai femminismi è che non è vero che riguarda solo te. Certo, si parla molto delle esperienze delle donne, il mondo che viene descritto è lo stesso mondo in cui stai tu, non un altro pianeta. Dunque ti accorgi che non hai mai sentito prima quella voce, quel punto di vista, perché parla della costruzione culturale della tua identità di genere e ti accorgi che tu stai dentro qualcosa che non riesci a vedere da fuori. Questo discorso che viene da fuori ti serve per inglobare una visione altra rispetto a quello che hai sempre dato per scontato. Avere gli strumenti per avvicinarsi a questa visione non significa abbandonare la propria identità di ‘uomo etero bianco occidentale’ – quello sei e rimani – ma capire che si può essere e agire in modi diversi da quello tradizionale, rituale, consuetudinario, patriarcale che abbiamo ereditato senza mai metterlo in questione», spiega Lorenzo Gasparrini.

Anche i ragazzi e gli uomini soffrono e sono vittime di un sistema che li spinge a guardare sé stessi in maniera rigida, forte, “efficiente”, a scapito di prospettive più aperte riguardo identità più fluide e complesse che riguardano le svariate sfaccettature dell’essere umano. Gli uomini non perdono il controllo a caso, non sono violenti e aggressivi contro il proprio capo, superiore, padre o nonno. Sono violenti con un individuo a lui pari, che non si adegua però a una certa idea di maschilità e che quindi non sta al gioco delle parti. Comprendere che questo meccanismo è qualcosa di ereditato, trasmesso, imparato dalla storia culturale e sociale di un paese e apre le porte alla possibilità di cambiare e imparare un nuovo modo di relazionarsi con sé stessi e con gli altri nella consapevolezza che esiste un problema di genere. Le mascolinità negative incoraggiate nei ragazzi servono a perpetuare il ciclo di discriminazione e disuguaglianza. Il lavoro deve dunque essere fatto da entrambi i lati, da tuttə e per tuttə e Clara is fa proprio questo placando quella distanza tra l’esperienza individuale e quella collettiva per ritrovare un io valido quanto il noi.

Hirata Bianca, CLARA IS. Courtesy l’artista

Il linguaggio visivo dell’arte diventa quindi una possibilità di educazione e condivisione. «La sociologia ci insegna che gli uomini imparano a essere uomini dagli altri uomini. La storia del femminismo dice che le donne fanno questo da almeno tre secoli e mezzo, ovvero vedersi come un genere. Purtroppo, nelle chiacchere comuni tra uomini, i generi sono sempre gli altri. “Noi no, noi siamo il modello base, il grado zero”. Il punto è proprio questo, ovvero cominciare a vedersi come un genere che condivide un problema in comune, ovvero un’identità maschile che non funziona. Questa contraddizione sta nei numeri: gli uomini sono il genere che soprattutto nella società occidentale detiene i più importanti posti di comando. Contemporaneamente gli uomini sono quelli che si suicidano di più, cadono di più in depressione, hanno vite più brevi, fanno i lavori più massacranti. Qualcosa non sta funzionando nella costruzione della nostra identità. Parlare apertamente di violenza di genere significa che mi devo accorgere di un problema che mi vede protagonista mio malgrado, perché qualcuno mi sta cercando di far capire che sono condizionato a comportarmi in questo modo. Dire “io non sono violento” non conta nulla perché quando sei condizionato ad agire in un certo modo perché pensi che quella sia la tua identità, la tua intenzione non conta niente. Riflettere sul linguaggio è importante perché non è solamente uno strumento o un attrezzo, è la cosa con la quale abbiamo costruito la maggior parte del mondo che conosciamo, non perché le abbiamo vissute, ma perché le abbiamo lette, ascoltate, un determinato tipo di linguaggio ce le hanno raccontate. Se una certa struttura di potere oppressiva è già in insita quel linguaggio, impariamo anche questo e cambiamo il corso d’opera», continua Gasparrini.

Per concludere con le parole di Laura De Dilectis: «Non abbiamo scelto di fare questo, di occuparci di violenza. Vorremmo fare altro, vorremmo parlare della bellezza, ma il brutto esiste e questa è la realtà che deve essere vista e affrontata. Speriamo di non dover più esistere perché se esistiamo oggi è perché è necessario. Vogliamo che queste esperienze diventino storie di unione di autostima, forza, amore. Vogliamo essere libere, non coraggiose».

TED talk https://www.youtube.com/watch?v=_yZLExGze3g

Donnexstrada. Uno sguardo di denuncia contro la violenza di genere

 

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