GINECOLOGIA E COMUNITA’ LGBTQA+: UN RAPPORTO DIFFICILE
La visita ginecologica dovrebbe essere un gesto di cura verso se’ stess* ed un diritto; come spesso accade, dalla teoria alla pratica esiste un abisso.
QUALI SONO LE CRITICITA’?
In alcune realtà, come la comunità LGBT, questo abisso ha due nomi: mancata formazione e mancanza di rispetto da parte degli operatori sanitari.
La visita ginecologica è un momento particolare: richiede l’esposizione del proprio corpo in una posizione di massima vulnerabilità. Anche il semplice colloquio comporta un ‘improvvisa intimità con un operatore sanitario che, di fatto, è un estraneo: si affrontano argomenti spesso ritenuti privati come la sessualità, le malattie sessualmente trasmesse, il dolore sessuale, i vissuti emotivi relativi alla propria ciclicità mestruale, alla propria storia ostetrica, ad eventuali pregresse interruzioni di gravidanza.
Queste problematiche, tipiche di tutte le donne, sono spesso accentuate nelle persone AFAB che non si identificano con il sesso femminile: i propri genitali ed il proprio flusso mestruale possono essere causa di disforia. Non tutte le persone XX hanno un orientamento eterosessuale e spesso subiscono atteggiamenti discriminatori e frutto di luoghi comuni. Quante donne lesbiche si sono sentite dire che sperimentando con un uomo avrebbero cambiato idea? Quante non sono neppure state visitate perché esiste il luogo comune secondo cui nel sesso tra donne la penetrazione non sia prevista? E ancora: quanti uomini trans si sono sentiti guardare con disgusto o porre domande imbarazzate e maldestre?
LA MANCATA FORMAZIONE PROFESSIONALE E’ UN PUNTO NODALE
La mancata formazione è un problema che riguarda in generale gli operatori sanitari che non ricevono ,nel corso dei propri studi, adeguata educazione relativamente alla salute delle persone AFAB appartenenti alla comunità LGBT.
Di fatto le incongruenze di genere e gli orientamenti sessuali differenti rispetto al modello etero-cis normato sono condizioni solo recentemente depatologizzate; in parole povere: si tratta di tematiche che ancora vengono legate concettualmente alle aree psichiatriche-psicologiche.
La poca formazione ad oggi presente è frutto di buona volontà personale e certamente non basta: solo operatori sanitari direttamente coinvolti si costruiscono, nel tempo, un bagaglio culturale ed una conoscenza personale basata sulla frequentazione di luoghi di aggregazione, centri culturali ed occasioni di dibattito. Di recente l’università degli studi di Milano Bicocca ha strutturato un master di I livello di Sessuologia marcatamente caratterizzato da formazione e conoscenza della comunità LGBTQA+ e delle sue mille sfumature.
ASSENZA DI EMPATIA E RISPETTO: UN MALE DIFFUSO NELLA SOCIETA’ ITALIANA
Il secondo problema, la mancanza di rispetto, purtroppo attiene invece alla sfera personale; avere accesso al corpo di una persona ed ad informazioni estremamente sensibili, ci obbliga, come operatori, ad essere empatici ed a porci in ascolto della persona che abbiamo di fronte. Un corretto utilizzo dei pronomi, il non dare per scontati comportamenti sessuali, il non cadere in luoghi comuni imbarazzanti sono fondamentali.
E NOI CI LEGGIAMO DENTRO? QUANDO LA MANCANZA DI INSIGHT E’ UN PROBLEMA
Esiste un ultimo ingrediente per entrare in relazione con le persone AFAB appartenenti alla comunità LGBT: l’introspezione ed il superamento dei nostri personali limiti. Se, come operatori, proviamo imbarazzo, disagio, disgusto abbiamo il dovere di chiederci quale sia IL NOSTRO problema per evitare che ricada su chi stiamo assistendo.
Domandiamoci intanto se siamo risolti relativamente ai nostri orientamento ed identità di genere, ripensiamo all’educazione ricevuta in famiglia, a possibili eventi che in qualche modo abbiano scatenato alcune reazioni problematiche per il nostro lavoro e quindi per i nostri pazienti. Un percorso supportato da psicoterapeuta potrebbe aiutarci a mettere ordine nei nostri pregiudizi.
CONCLUDENDO..
Il mancato accesso alla sanità per molte persone della comunità LGBT parte proprio da questi bias ed è interesse della collettività tutelare tutti i cittadini nel rispetto della Costituzione e del bene collettivo.
Ad oggi non esiste una rete strutturata di professionisti, medici e psicologi, che possa essere accessibile per le persone della comunità LGBTQA+: tutto di basa sul passaparola che tuttavia non è per tutti accessibile (penso a chi non ha accesso ai social, a chi vive in piccole realtà e non può fare coming out).
Il mio consiglio per le persone AFAB LGBTQA+ è sempre lo stesso: se potete farlo senza gravi conseguenze per voi, abbiate sempre il coraggio di esporvi, di raccontarvi, di fare coming out. Fate lo sforzo, anche se è faticoso, di comunicare la vostra realtà ed i vostri bisogni agli operatori sanitari che avete davanti: sarà di aiuto per voi e per molte persone dopo di voi, inoltre potreste stupirvi di scoprire che a volte il problema è solo la non conoscenza e non la presenza di omofobia o trans fobia.
Come operatori riflettiamo sempre su questi temi, ogni volta che una persona della comunitòà LGBTQA+ si siede di fronte a noi affidandoci la propria salute ginecologica: il mancato futuro accesso alle cure di quella persona a causa nostra è una responsabilità troppo grande per essere sottovalutata.
Dottoressa Marina Cortese, Specialista in ginecologia ed ostetricia, specialista in psicosessuologia
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