Gli strumenti a tutela della donne vittima di violenza. Dai centri antiviolenza alle azioni legali. - DONNEXSTRADA
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Gli strumenti a tutela della donne vittima di violenza. Dai centri antiviolenza alle azioni legali.

Ogni giorno si crede di poter aver il controllo delle situazioni che si hanno davanti, della realtà che ci circonda e di essere abbastanza forti e pronti ad affrontare ogni eventuale difficoltà che ci si pone davanti. Si crede di poterne uscire apparentemente indenni alle difficoltà che possono demolire la quotidianità e la routine giornaliera. 

Questa forza può venire meno davanti a un sospetto o ad una certezza di una storia di violenza verso una donna che fa parte della nostra vita. Ci si trova spesso carichi di rabbia, frustrazione e ci si vuole mettere in gioco per poterla aiutare. 

Allo stesso tempo la donna vittima di violenza potrebbe non averne la consapevolezza. La violenza non è sempre palese, non è sempre manifestata dai segni sulla pelle, ma può colpire ancora più forte la donna a livello psicologico.

Sono due facce di una stessa storia, una storia unica ma che può avere molte similitudini con quella di molte altre donne che devono affrontare quell’uomo che ha leso la sua libertà.

In questo articolo cercheremo di indicare quali siano i punti di riferimento ed i mezzi a disposizione per una donna che subisce violenza, ma non solo. Anche per chi vorrebbe soccorrere questa, ma non sa come possa o debba fare.

Prima ci soffermeremo sugli aspetti psicologici, sul percorso da compiere nel momento in cui si decide di agire, sino a giungere ai centri antiviolenza, che cosa accade lì? Come viene aiutata la donna stessa?

Nella seconda parte invece, affronteremo la questione più da un punto di vista legale, sottolineando quali siano gli strumenti a tutela della donna vittima di violenza e le varie fasi del procedimento.

La questione delle donne vittime di violenza è ancora oggi oggetto di dibattito politico e legislativo, nonché sociale, proprio a ragione dell’elevatissima incidenza sociale. 

Il Percorso per le donne che subiscono violenza potrebbe iniziare in un pronto soccorso, il quale dovrà garantire una tempestiva e adeguata presa in carico delle donne a partire dal triage e fino al loro accompagnamento/orientamento, se consenzienti, ai servizi pubblici e privati dedicati presenti sul territorio di riferimento al fine di elaborare, con le stesse, un progetto personalizzato di sostegno e di ascolto per la fuoriuscita dalla esperienza di violenza subita. 

Le destinatarie sono le donne che subiscono violenza (con il termine «donne» sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni come previsto dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul), italiane e straniere, che abbiano subito una qualsiasi forma di violenza.

Per sostenere una donna che sta subendo violenze di qualunque tipo è fondamentale ascoltare, non dare giudizi e non rimproverare se lei non ha agito nel modo giusto per te.

Bisogna accettare a pieno la sua confusione, ovvero il fatto che possa essere innamorata di questo uomo, ma allo stesso tempo averne paura. Creando uno spazio libero da ogni giudizio e pericolo, potresti conoscere con i suoi tempi tutta la storia e capirne effettivamente la gravità. Ascoltando la donna si evita l’isolamento che spesso segue la violenza, come un effetto collaterale. Sarà lei a dirti di cosa ha bisogno e sostienila. Rassicurala sul fatto che non sarà sola, che sarà rispettata la sua privacy e che soprattutto sarà creduta. 

Documentati prima di dare ogni consiglio e cerca il centro antiviolenza più vicino così da poterlo dare alla donna, ma rimane a lei la piena ed assoluta libertà di scelta. Ricorda che già l’uomo ha leso o lede ancora i suoi diritti, non farlo anche tu. 

I Centri antiviolenza e le Case rifugio costituiscono il fulcro della rete territoriale attiva che si occupano delle donne vittime di violenza. Si tratta di servizi specializzati che lavorano sulla base di una metodologia dell’accoglienza basata su un approccio di genere e sui principi della Convenzione di Istanbul.

Le donne qui sono accolte da professionist* e aiutate con un supporto psicologico, una consulenza legale, un orientamento al lavoro, un’ospitalità di emergenza se necessaria e vengono date loro tutte le informazioni sulle loro possibilità.

In questo periodo nelle case di accoglienza si riesce a ricostruire la storia della violenza della donna, aiutandola a rielaborare l’esperienza vissuta, riconquistando la fiducia in sé stessa e il proprio valore come donna autonoma a livello sociale ed economico. 

Subito, sin dal primo incontro con la donna, gli operatori sociali devono cercare di costruire le basi di un rapporto di fiducia, offrendo uno spazio libero da giudizi e aperto alla libera condivisione, attraverso l’ascolto attivo. C’è anche la propensione a stimolare la donna verso la possibilità di migliorare la propria condizione, dopo aver valutato i rischi e fornito lei tutte le informazioni sulle risorse attive o latenti e sulle possibili azioni a sua tutela e per gli eventuali figli, anche attraverso la procedibilità d’ufficio in caso di particolare pericolo. 

L’operatrice qui sarà capace di utilizzare una corretta comunicazione con un linguaggio semplice,

comprensibile e accessibile, deve garantire un ascolto e un approccio empatico e non giudicante. L’obiettivo è quello di instaurare con la donna un rapporto basato sulla fiducia, così da favorire la costruzione insieme di un progetto di vita nel pieno rispetto della libertà di scelta e di autodeterminazione della stessa.

Attraverso un ascolto attivo saranno capaci di rilevare la violenza subita e i rischi immediati, soprattutto in presenza di minori. Informare la donna sulle possibilità che ha davanti, come quella di denunciare e di ricevere protezione.  

Dal punto di vista legale, quindi spostandoci su un’ analisi che si incentri più sui mezzi a disposizione della donna, anche in sede di querela o denuncia, analizzeremo anche in questo caso le varie fasi del procedimento.

Sappiamo che l’ordinamento giuridico italiano appresta una duplice tutela alla vittima di violenza di genere, quella civile e quella penale.

In sede civile, allorché si tratti di violenza perpetrata all’interno delle mura domestiche (violenza endofamiliare), è possibile richiedere al giudice l’emissione di un ordine di protezione contro gli abusi familiari. 

Questo strumento consente di ottenere rapidamente l’ordine di cessazione del comportamento molesto e/o violento posto in essere dal coniuge o da altro convivente, che abbia causato grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o del convivente. 

Il giudice, inoltre, potrà disporre l’allontanamento dalla casa familiare di chi ha tenuto la condotta pregiudizievole, prescrivendo, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, con particolare riferimento al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia di origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia. Potrà poi: disporre l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e di maltrattamenti; porre a carico dell’allontanato il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei detti provvedimenti, rimangano prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini del pagamento, e prescrivendo, se del caso, che la somma venga versata all’avente diritto direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione a quest’ultimo spettante.

La durata di queste misure provvisorie a tutela delle vittime di violenze familiari non può essere superiore ad un anno, ma può essere prorogata su istanza di parte allorché ricorrano gravi motivi. 

D’altro canto la vittima può attivarsi affinché l’ordinamento intervenga a punire l’aggressore tramite gli strumenti della giustizia penale, presentando una denuncia/querela. 

La querela è la dichiarazione con la quale la persona offesa, personalmente o per il tramite di un avvocato, esprime la volontà che si proceda per punire il colpevole di un fatto previsto dalla legge come reato e riguarda i reati non perseguibili d’ufficio. 

Non ci sono particolari regole per il suo contenuto, ma oltre a dover essere descritto il fatto, deve necessariamente risultare chiara la volontà del querelante che si proceda in ordine ad esso e se ne punisca il colpevole.

Può essere presentata in forma scritta o orale: in quest’ultimo caso sarà raccolta in un verbale dall’autorità ricevente, che provvederà a trasmetterlo alla Procura della Repubblica.

Di regola la querela deve essere proposta entro tre mesi dal giorno in cui si ha notizia del fatto che costituisce reato, ma nel caso di reati contro la libertà sessuale il termine è aumentato a sei mesi.

La denuncia, invece, è la mera comunicazione di un fatto illecito da parte di chi ne è stato vittima o ne abbia comunque avuto conoscenza e, a differenza della querela, non contiene la manifestazione della volontà che venga penalmente perseguito l’autore dell’illecito.

La differenza non è di poco conto, atteso che per alcuni reati l’esercizio dell’azione penale è subordinato alla volontà della persona offesa che quindi, come già detto, deve essere espressamente manifestata. 

Una volta che l’Autorità Giudiziaria sarà portata a conoscenza del fatto di reato, allorché ricorrano i presupposti di legge, potrà essere applicata all’indagato una misura cautelare (ad es. l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, arresti  domiciliari), volta a limitare, in tutto o in parte, la sua libertà personale, obbligandolo, ad esempio, a lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero a non farvi rientro e non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede, dando così una rapida risposta rispetto a pericoli che devono essere neutralizzati con urgenza.

Anche in questo caso può essere ingiunto il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, in conseguenza della misura disposta, rimangano prive dei necessari mezzi di sostentamento, eventualmente ordinando che venga versato direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla sua retribuzione. 

In ogni caso è opportuno evidenziare come il legislatore abbia manifestato in diverse occasioni una particolare attenzione rispetto alle vittime di violenza: in primis, le stesse saranno informate immediatamente in caso di scarcerazione, di cessazione di un misura di sicurezza detentiva o di evasione; allorché la persona offesa versi in condizione di particolare vulnerabilità, come avviene nel caso in cui sia affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato, poi, saranno adottati una serie di specifici provvedimenti, che vanno dalla nomina di un esperto in psicologia nominato dal P.M. che coadiuverà e supporterà la Polizia Giudiziaria chiamata ad assumere sommarie informazioni dalla vittima, alla garanzia che la persona offesa, durante l’audizione, non abbia contatti con l’indagato e non venga chiamata più volte a deporre, ovvero venga ascoltata secondo le modalità del cd. ascolto protetto, e cioè schermata dietro ad un vetro a specchio ovvero in un luogo diverso dal Tribunale, avvalendosi il giudice di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova.

Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore del c.d. Codice Rosso (L. n. 69 del 2019) sono stati velocizzati i tempi di risposta della Giustizia: acquisita una notizia di reato relativa a delitti di violenza domestica e di genere, infatti, la Polizia Giudiziaria riferirà immediatamente al Pubblico Ministero, il quale entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato provvederà ad ascoltare la persona offesa o chi ha denunciato i fatti di reato. Tale ristretto termine potrà essere prorogato solo in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. 

Al fine di assicurare l’assistenza di un difensore anche ai non abbienti, poi, la persona offesa da reati quali maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti persecutori (impropriamente chiamato “stalking”) prostituzione o pornografia minorile, ed altri, può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge.

https://www.casadonne.it/informazioni/vademecum-per-aiutare-una-donna-che-subisce-violenza/

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