I patti prematrimoniali - DONNEXSTRADA
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I patti prematrimoniali

Per patti prematrimoniali si intendono quegli accordi che vengono stipulati prima della celebrazione delle nozze, o talvolta anche durante il matrimonio, al fine di preventivamente regolamentare le condizioni e, pertanto, gli obblighi personali e patrimoniali, della eventuale, futura, crisi coniugale.

I patti prematrimoniali sono uno strumento conosciuto e ampiamente utilizzato tanto nei sistemi legislativi anglosassoni (ove, per la loro stipulazione, è richiesta l’assistenza di avvocati, a cui si affiancano generalmente consulenti contabili e altri esperti), quanto in alcuni paesi di diritto islamico (in cui viene ammessa la possibilità di accordarsi anticipatamente per la gestione dei beni acquistati durante il matrimonio una volta sciolto il vincolo coniugale).

Per quanto attiene al nostro ordinamento, la legge italiana è di diverso avviso e orientamento.

Se infatti, da una parte, i conviventi possono accordarsi, tramite il contratto di convivenza previsto e disciplinato dalla legge cd. Cirinnà, sulla vita di coppia, includendovi anche le conseguenze della fine della convivenza (seppur con l’unico limite che le finalità perseguite risultino meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento), dall’altra, chi intenda sposarsi o sia già sposato non può accordarsi per determinare in via anticipata le conseguenze dello scioglimento del vincolo matrimoniale.

 

I patti prematrimoniali in Italia

Il nostro sistema giuridico non riconosce alcuna validità ai patti prematrimoniali che, qualora stipulati, sono dichiarati nulli dalla autorità giudiziaria. Ciò, in quanto, ai sensi dell’art. 160 c.c., ai coniugi non è permesso derogare ai diritti e ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio: infatti, le regole che disciplinano la famiglia sono considerate, nella nostra tradizione giuridica, “indisponibili” e gli effetti del matrimonio – e della relativa eventuale crisi – non sono in alcun modo modificabili e/o, per così dire, “trattabili” dalle parti.

Le ragioni di questa scelta legislativa sono da ricercare nel cosiddetto “ordine pubblico”, ovverosia quell’insieme di principi etici e politici, la cui osservanza e attuazione è ritenuta indispensabile. In altre parole, viene considerato come eticamente intollerabile – e quindi giuridicamente ritenuto inammissibile – che i coniugi, prima o durante il matrimonio, si occupino del loro divorzio e di regolamentare, soprattutto dal punto di vista economico, le sue conseguenze.

Secondo la giurisprudenza, infatti, “…l’accordo preventivo fra le parti si configurerebbe come una transazione non su meri profili patrimoniali conseguenti ad un determinato status, ma sullo stesso status, atteso che i vantaggi patrimoniali riconosciuti ed accettati assolvono sostanzialmente la funzione di prezzo del consenso al divorzio…” (Cass. 13 gennaio 1993, n. 348; Cass. 4 giugno 1992, n. 6857). I patti prematrimoniali, quindi, si sostanzierebbero in una mercificazione e monetizzazione del legame affettivo e dello status di coniuge, quale sorta “prezzo della fine dell’amore” concordato in via anticipata, limitando, tra l’altro, la libertà di difesa dei coniugi nell’eventuale futuro giudizio di separazione e divorzio.

 

Le prime aperture nella giurisprudenza italiana

Tuttavia, negli ultimi anni, anche sulla scia delle esperienze degli ordinamenti stranieri, ove – come detto – i patti prematrimoniali si sono dimostrati anche un ottimo strumento per la riduzione delle controversie, sembrerebbe essersi aperta una breccia nella nostra giurisprudenza.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 21 dicembre 2012, n. 23713, ha recentemente affermato la validità di una scrittura privata, firmata il giorno prima delle nozze, in cui la moglie si impegnava, in caso di fallimento del matrimonio, a trasferire al marito un immobile di sua proprietà quale indennizzo delle spese da lui sostenute per la ristrutturazione della casa coniugale. Nella menzionata sentenza, la Cassazione riferisce che la propria giurisprudenza tradizionale non sia stata in grado di adeguarsi alla “…evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale”.

Allo stesso modo, in una successiva sentenza del 2013, n. 19304, sempre la Suprema Corte di Cassazione, in ha ritenuto legittimo l’accordo con il quale due i coniugi avevano previsto l’obbligo della restituzione di un mutuo, intercorso tra loro, se si fosse verificata una separazione personale.

Per completezza, si precisa come sia stata presentata, in data 15.12.2014, la proposta di legge n. 2669 di iniziativa dei deputati Morani e D’Alessandro, dal titolo “Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali”, in cui veniva prevista l’introduzione dei Patti in esame nel nostro Codice; proposta che, tuttora, non ha avuto seguito in Parlamento.

 

Le “pattuizioni” matrimoniali ammesse dalla legislazione italiana

In ogni caso, il Codice Civile ammette delle “pattuizioni” matrimoniali tra coniugi, che conducono a effetti diversi in caso di scioglimento del matrimonio.

  • La comunione dei beni.

Il regime patrimoniale dei coniugi, in caso di mancanza di diverso accordo, è costituito dalla comunione dei beni (per cui si presume la contitolarità in capo a marito e moglie fin dal loro acquisto e il pari diritto ad amministrarli), in cui ricadono:

  • gli acquisti compiti dai due coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio (ad esempio, i mobili della casa, l’autovettura, l’eventuale appartamento etc.);
  • le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
  • gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al matrimonio;
  • i risparmi.

Sono invece esclusi dalla comunione, rimanendo beni personali di ciascun coniuge:

  • i beni di cui il coniuge era titolare prima del matrimonio (art. 179, lett. a);
  • i beni successivamente acquistati per successione o donazione, salvo non siano espressamente destinati alla comunione (art. 179, lett. b);
  • i beni di uso strettamente personale (art. 179, lett. c);
  • i beni che servono all’esercizio della professione (art. 179, lett. d);
  • i beni ricevuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa (art. 179, lett. e);
  • i beni acquistati con il prezzo del trasferimento di altri beni personali, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto di acquisto (art. 179, lett. f);
  • beni immobili (appartamenti etc.) o beni mobili registrati (autovettura, barca, motoveicoli etc.) qualora al momento del loro acquisto l’altro coniuge partecipi e accontenta alla loro esclusione dalla comunione dei beni (art. 179, comma 2).

Con la separazione dei coniugi, cessa il regime legale di coacquisto e, pertanto, tutti i beni personali rimangono di proprietà di ciascuno, mentre per tutti gli altri ricadenti nella comunione si dovrà procedere alla divisione in parti uguali.

  • La comunione convenzionale.  Ai sensi dell’art. 210 c.c., i coniugi possono convenire, con apposito accordo da stipulare innanzi al Notaio, di disciplinare diversamente il regime della comunione, ad esempio prevendendo di ricomprendere nella comunione anche i redditi personali (e non solo i risparmi) oppure alcuni beni personali di cui all’art. 179, lettere a, b. Tuttavia, la legge impone dei limiti all’accordo tra le parti per cui, in ogni caso, ai coniugi non è permesso derogare:
  • alla divisione in parti uguali dei beni in comunione in caso di separazione;
  • ricomprendere tra i beni in comunione i beni personali di ciascun coniuge di cui all’art. 179, lettere c, d, e;
    • derogare al principio di amministrazione comune dei beni in comunione.

Con la separazione dei coniugi, cessa anche il regime di comunione convenzionale e quanto non è ivi ricompreso rimangono di proprietà di ciascuno, mentre per tutti gli altri ricadenti nella comunione si dovrà procedere alla divisione in parti uguali.

  • La separazione dei beni. Con la separazione dei beni, ciascun coniuge rimane esclusivo titolare dei beni di sua pertinenza e di ogni acquisto che abbia ad effettuare anche in costanza di matrimonio, con diritto ad amministrare il suo patrimonio senza ingerenze dell’atro coniuge, fermo l’obbligo di contribuire agli oneri e alle esigenze della famiglia in modo proporzionale rispetto alle proprie sostanze. Tale convenzione può essere stipulata innanzi al Notaio in qualsiasi momento oppure con semplice dichiarazione da inserire nell’atto di celebrazione del matrimonio.

Accanto a queste convezioni, che definiscono il regime patrimoniale della famiglia, il Codice, a mente dell’art. 144 c.c., ammette delle convenzioni “sulla vita matrimoniale”, di natura sostanzialmente personale e che attengono alla scelta della residenza comune o alle scelte educative dei figli: si tratta quindi di accordi presi tra i coniugi per regolare e determinazione l’indirizzo della vita familiare.

Chiaramente, i coniugi non potranno, con queste convenzioni, derogare ai doveri fondamentali derivanti dal matrimonio, quali quelli di fedeltà, di assistenza materiale e morale, di collaborazione e coabitazione, così come ai doveri nascenti verso i figli, considerato il carattere inderogabile di detti obblighi (sarebbe infatti nullo qualsiasi accordo sull’indirizzo della vita familiare in cui due coniugi prevedano la possibilità di avere relazioni extraconiugali ovvero che sia l’uno o l’altro ad occuparsi esclusivamente delle scelte che riguardano i figli).

 

Considerazioni conclusive

Posta in ogni caso la nullità dei patti prematrimoniali, ciò non significa come gli stessi non possano fungere da “linea guida” o prove utili in sede di separazione e divorzio giudiziale ai fini del corretto inquadramento del ménage familiare e delle intenzioni, espresse e decise di comune accordo dai nubendi, su come condurre la vita matrimoniale.

Ad esempio, un accordo circa la possibilità per marito e moglie di avere rapporti extraconiugali, pur invalido, potrebbe escludere il tradimento come causa di addebito della separazione o, a contrario, un accordo circa la corresponsione di un risarcimento del danno in caso di relazioni extraconiugali potrebbe rafforzare la richiesta di addebito e il collegamento tra tradimento e crisi coniugale.

 

Avvocato Micol Missana

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