Il corpo invisibile - DONNEXSTRADA
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Il corpo invisibile

<< L’essenziale è invisibile agli occhi >> rivela la volpe al Piccolo Principe nel romanzo di Antoine de Saint-Exupéry.

Capita che a volte il corpo debba diventare invisibile per poter essere il luogo in cui esprimere un disagio: ciò che è interno, una sofferenza profonda, diviene esterno e manifesto. Accade in modo evidente, per esempio, nel caso dell’anoressia nervosa: il corpo, scarno, diviene un palcoscenico su cui inscenare il dolore interiore, un disagio che le parole non riescono ad esprimere.

Nel rifiuto, nella negazione e nella sofferenza corporea si esprime il conflitto interiore. La frattura del corpo diviene, dunque, frattura dell’anima (Rella, 2000). Da essere prigione dell’anima, come diceva Platone, il corpo deve tornare a essere unito all’identità e in armonia con il sé. Perché “il corpo è ciò che individualizza l’anima. Solo sarebbe vano supporre che l’anima possa staccarsi da questa individualizzazione separandosi dal corpo con la morte o con il pensiero astratto, perché l’anima è il corpo, in quanto il per sé è la propria individualizzazione” (Sartre, 1943).

Il corpo sottile, quasi invisibile, cerca in realtà di evidenziarsi agli occhi dell’Altro, spera di renderlo mancante, non più onnipotente, non più distratto.  Lo sfida, lo obbliga ad interrogarsi, lo mette in crisi, lo castra – direbbe Lacan. Gli chiede la prova d’amore per eccellenza: dare quello che non ha. La formula è lacaniana: amare non è dare ciò che si possiede, ma ciò che non si ha, ciò che costa fatica e richiede uno sforzo.

La persona anoressica, infatti, si nutre di niente per ottenere l’attenzione dell’Altro, per avere prova del suo amore. Disinteressata alle cure, vuole diventare il desiderio del desiderio dell’Altro, vuole cioè essere importante, ovvero amata.

Dunque, alla domanda <<Chi sono?>>, la risposta è qui <<nello sguardo dell’Altro>>. Il corpo non è più invisibile, ma può così delinearsi, assumere tridimensionalità e significato.

In conclusione, lo sguardo per la persona anoressica è come un abbraccio, una parola d’amore che la rende visibile agli occhi di chi le sta accanto. Occorre aiutarla non a mangiare, ma a vedere che può occupare anche lei un posto nel mondo. Bisogna aiutarla a togliersi l’etichetta dell’anoressica, restituendole il suo nome. E quando negherà di averlo e dirà piangendo di essere “vapore acqueo”, occorrerà stare lì, fermi, in ascolto, pronti ad accogliere calci e pugni invisibili, ma forti. Se saremo pronti ad accogliere tutto ciò, la si porterà alla salvezza.

 

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Bibliografia

Massimo Recalcati, La clinica del vuoto in Jacques Lacan e la clinica contemporanea, Isabella Ramaioli, Domenico Cosenza, Pietro Enrico Bossola (a cura di), Franco Angeli, Milano 2003
Jean Paul Sartre, L’essere e il nulla, Franco Fergnani, Marina Lazzari, (a cura di) Il Saggiatore, 2014

 

Psicologa Ilenia Agosto

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