Il delitto di Giarre: Giorgio e Antonio, non vittime ma fenici.
Premessa
Sono passati quarantaquattro anni dal delitto di Giarre che, seppur ancora oggi presenti tratti chiaro-scuri per quando riguarda la sua esecuzione e l’individuazione dell’autore del reato, ha segnato una svolta per la Comunità omosessuale in Italia.
Dell’omicidio di Giorgio e Antonio se ne parla, ahimè, troppo poco, ma è stato proprio questo delitto di sangue a fungere da megafono per la Comunità LGBTQ+ che, fino ad allora, era silenziata e non riusciva a far sentire la propria voce, vittima dello stigma sociale e del pregiudizio.
Donne per strada, in occasione della ricorrenza dell’omicidio, ha voluto ricordare e omaggiare il loro amore: Giorgio e Antonio non devono essere ricordarti (solo) come vittime di un delitto ancora oggi senza colpevole, ma come due fenici, grazie ai quali ha avuto vita il movimento omosessuale italiano contemporaneo.
I fatti
È il 31 ottobre del 1980 quando nel piccolo paese di Giarre, in Sicilia, vengono rinvenuti i corpi di due ragazzi, vittime di omicidio o, meglio, di un vero e proprio crimine d’odio.
Non ci volle molto per riconoscere nelle giovani vittime i corpi di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola, di soli 15 anni.
Entrambi erano soprannominati da alcuni loro compaesani come “I ziti”, in dialetto, e che in italiano può essere tradotto come “I fidanzati”, soprannome che gli era stato dato in quanto entrambi i ragazzi erano omosessuali.
In passato, lo stesso Giorgio aveva fatto coming-out e spesso veniva visto girare con Antonio, motivo per cui moltissime persone pensavano fossero fidanzati.
Il soprannome “I ziti”, però, era accompagnato da un altro soprannome ossia «puppu ‘ccô bullu», ovverosia “Omosessuale con il timbro”.
Il 17 ottobre i due ragazzi erano scomparsi improvvisamente nel nulla, facendo pensare ad una loro fuga volontaria. Purtroppo, però, detta possibilità si è rivelata del tutto errata: il 31 ottobre, infatti, vengono ritrovati nelle campagne siciliane i loro corpi, stesi uno di fianco all’altro, sotto ad un albero, ed entrambi uccisi da un colpo di arma da fuoco all’altezza della testa.
Le indagini: cos’è successo davvero quel giorno?
Le indagini partono immediatamente, ma gli investigatori incontrano subito la ritrosia dei cittadini di Giarre, intimoriti dall’idea di essere associati, damnatio memoriae, all’omicidio di due omosessuali.
Anzi, proprio onde evitare tale accostamento, anche tra gli stessi Antonio e Giorgio (quest’ultimo, peraltro, appartenente ad una famiglia della media borghesia siciliana), in quanto considerato abominevole proprio per l’omosessualità conclamata dei due innamorati, sulle loro tombe sono state addirittura poste due date di morte diverse.
A fronte della mancata collaborazione da parte di tutti i giarresi (o meglio, dell’omertà dimostratasi), gli inquirenti si sono ritrovati a navigare nel buio, conducendo (sia per le difficoltà incontrate, sia per la fretta di chiudere le indagini e “voltare pagina” rispetto all’omicidio di due omosessuali) delle ricerche piuttosto frettolose, che si concludevano nell’arco di pochi giorni.
Le prime due ipotesi che i militari avanzano sono quelle del doppio suicidio e di omicidio – suicidio (secondo cui Giorgio avrebbe ucciso il giovane Antonio con un colpo di arma da fuoco all’altezza della testa, per poi togliersi a sua volta la vita utilizzando la stessa modalità), ma la mancanza dell’arma del delitto e il successivo ritrovamento di una pistola, sepolta poco lontano dal luogo del ritrovamento di Giorgio e Antonio, ha di fatto escluso queste piste.
La terzi ipotesi vede come protagonista Francesco, nipote di Antonio, il quale avrebbe dichiarato di essere stato costretto da Antonio e Giorgio a compiere l’omicidio, in cambio di un orologio: “mi hanno detto o ci ammazzi o ti ammazziamo noi”, ha affermato Francesco piangendo.
Due giorni dopo, però, Francesco ha ritrattato tutto, proclamandosi innocente e accusando i carabinieri che, a suo dire, lo avrebbero spinto ad accollarsi la responsabilità del delitto.
La verità giudiziaria e la verità secondo la vox populi
Pur senza ulteriormente indagare sul suo movente e sulla natura di tale delitto, Francesco è stato quindi considerato l’autore del delitto.
Francesco, però, era allora tredicenne, perciò, non imputabile; così, il caso vene chiuso ed archiviato, senza che il “colpevole” individuato sia mai stato arrestato e processato.
Vox populi, tuttavia, dettaglia un’altra storia: si sarebbe infatti trattato di un vero e proprio delitto di onore, connotato dall’omofobia di entrambe le famiglie degli innamorati, organizzato da alcuni membri delle stesse ed eseguito da Francesco, per lavare nel sangue l’onta inaccettabile dell’omosessualità.
I risvolti culturali
Con il delitto di Giarre, l’opinione pubblica si è scontrata con quello che non poteva più essere ignorato, ovverosia la discriminazione contro le persone omosessuali, che non riguardava soltanto la comunità giarrese, ma tutto il territorio italiano.
Come prima risposta, gli attivisti Lgbtqia+, provenienti da tutta Italia, sono scesi in piazza a Giarre, sostenuti anche dal Partito Radicale e dai militanti del Fuori! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano) che, proprio in reazione all’omicidio, ha visto la nascita del proprio primo collettivo in territorio siculo, su propulsione di Pietro Montana e Francesco Rutelli.
A distanza di due mesi, e precisamente in data 09.12.1980, don Marco Bisceglia, con la collaborazione di Nichi Vendola, Massimo Milani, Gino Campanella, e altri militanti, ha dato vita all’associazione no profit Arci Gay (sezione Arci dedicata alla cultura omosessuale), oggi diffusa in tutta la penisola.
Al delitto sono stati dedicati diversi film e libri, tutti però assolutamente recenti (a dimostrazione di come il delitto sia rimasto “nascosto” per tantissimi anni), tra cui “Per non dimenticare mai”, romanzo di Riccardo Di Salvo e Antonio Eredia pubblicato dalla Aletti Editore (2005); “Fuoco all’anima”, sceneggiatura di Francesco Costabile e Josella Porto, finalista al Premio Solinas 2007 storie per il cinema; “Stranizza”, romanzo di Valerio la Martire (2013); “Il delitto di Giarre. 1980: un «caso insoluto» e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia”, saggio di Francesco Lepore pubblicato da Rizzoli Editore (2021); “Stranizza d’amuri”, lungometraggio con la regia dell’attore Beppe Fiorello (2023); “Il delitto di Giarre”, film documentario prodotto da Raffaele Brunetti e scritto da Gino Clemente e Lorenzo Avola con la regia di Simone Manetti e la supervisione di Francesco Lepore che è anche voce narrante (2023); “Il delitto di Giarre, una storia dimenticata”, nel podcast Altre Indagini de Il Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi (2024).
Anche il Comune di Giarre si è recentemente riconciliato con la memoria dell’omicidio di Antonio e Giorgio, postando, nel maggio 2022, una targa commemorativa ai due innamorati quale assunzione di responsabilità verso una storia terribile e dolorosa, scivolata in un ingiusto silenzio e scomparsa dalla memoria collettiva: “In memoria di Giorgio Agatino Giammona e Toni Galatola, insieme barbaramente uccisi il 17 ottobre 1980, insieme ritrovati abbracciati il 31 ottobre successivo, Giarre tutta, memore di quell’amore che non osò pronunciare il suo nome, presenti la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti e il sottosegretario al ministero dell’Interno Ivan Scalfarotto, auspice il sindaco Leo Cantarella, questa lapide pose”.
Perché è importante coltivare la memoria
Come detto, l’omicidio di Giarre ha avuto un ruolo fondamentale: per la prima volta, l’Italia e gli italiani si sono ritrovati di fronte ad una vera e propria Comunità, che rivendicava non solo i propri diritti, ma la propria stessa esistenza.
Eppure, seppur siano passati quarantaquattro anni, ancora oggi si verificano (peraltro con una ricorrenza esponenziale) crimini e reati di odio verso le persone omosessuali, che riportano paura, discriminazioni e preferiscono non mostrare il proprio amore in pubblico
Secondo gli ultimi dati, relativi al 2022, il 41,6% degli intervistati subisce violenza omotransfobica in famiglia in seguito al coming out – la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di conversione, il controllo che sfocia nella violenza verbale e fisica, perdita sostegno economico – e il 15% di loro è minore di età; nel 5,7% dei casi il bullismo omotransfobico ha favorito l’abbandono scolastico; l’11,4% degli intervistati segnala discriminazione lavorativa – 3 casi su 4 riguardano persone trans – e il 12% delle segnalazioni riguarda aggressioni, molestie e atti di odio omotransfobico in luoghi pubblici o sul posto di lavoro, scatenati dalla visibilità delle vittime.
Nel 2023, i denuncianti di casi di violenze o discriminazione sono stati 149 (uno ogni due giorni).
L’omobistransfobia quindi non si arresta e, anzi, cresce e forse dovrebbe occupare una maggiore attenzione da parte del nostro legislatore, come, peraltro, avvenuto nei gli atri Paesi Europei, quantomeno in termini general-preventivi, non essendo gli strumenti oggi in vigore sufficienti a fermare l’orda d’odio.
Nel frattempo, continuiamo a coltivare la memoria, ricordando la storia di Antonio e Giorgio e non lasciando che questa cada di nuovo nel silenzio sopito degli ulti quarant’anni.
Articolo scritto a quattro mani dall’Avvocato Micol Missana e della Dottoressa Pia Anna Alessandra Petrucci, studentessa in Scienze Investigative con indirizzo tecnico scientifico e volontaria Viola