IL DOLORE SILENZIOSO: LA VIOLENZA ASSISTITA SUI MINORI
Secondo le stime, negli ultimi anni, e in particolare nel periodo della pandemia da Covid-19, si è registrato un vertiginoso aumento dei casi di violenza contro le donne in ambito familiare. Nel caso in cui siano presenti, anche i figli ne sono coinvolti, poiché costretti ad assistere e subire, anche indirettamente, le violenze agite nel proprio nucleo familiare. Difatti, oltre il 55% delle donne vittime di violenza ha dei figli minori di 18 anni.
Ma che cos’è la violenza assistita?
Per violenza assistita intrafamiliare si intende “l’esperire da parte del/della bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Si include l’assistere a violenze messe in atto da minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando essi avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti” (CISMAI, 2005).
Tali forme più o meno manifeste di violenza, possono essere perpetrate contro uno o più componenti della famiglia; generalmente le vittime sono la madre e i fratelli, se ve ne sono.
Quali le conseguenze e le ripercussioni psicologiche?
Vedere e vivere la violenza nella propria famiglia, in forma diretta o indiretta che sia, ha un impatto doloroso e spaventoso per i figli, ma per loro è altrettanto disturbante e destabilizzante anche solo sapere o sospettare che determinate cose avvengano, constatarne gli effetti e venire a contatto o a conoscenza delle conseguenze fisiche del maltrattamento sulle proprie figure di riferimento significative. Per i minori, doloroso e spaventante è anche percepire la tristezza, la disperazione, l’angoscia, il terrore e lo stato di allerta delle vittime.
Assistere a scene di violenza domestica è una delle esperienze più traumatiche che un minore possa provare, in quanto esiste concretamente la possibilità di perdere uno o entrambi i genitori e di essere a propria volta vittime di abusi e maltrattamenti.
L’esposizione ripetuta alla violenza e ai numerosi conflitti che avvengono all’interno delle mura domestiche tra i genitori può danneggiare gravemente il benessere psicologico e fisico dei minori, con particolare riferimento allo sviluppo individuale, relazionale e alle abilità d’interazione sociale durante l’età evolutiva.
Le conseguenze delle violenze subite o alle quali si è assistiti, possono riguardare diverse aree dello sviluppo infantile. Per ciò che concerne lo sviluppo fisico, si osservano spesso difficoltà nella crescita, ritardi nello sviluppo e difficoltà nel controllo delle funzioni fisiologiche (enuresi ed encopresi). La sfera dell’attaccamento risulta fortemente compromessa poiché lo stile di attaccamento che si va a creare è di tipo insicuro e/o disorganizzato; i minori esposti a violenza assistita hanno difficoltà nel provare fiducia nei confronti delle figure di riferimento, poiché vengono meno le cure primarie e la protezione e, al contrario, imparano che le persone care possono diventare una fonte di pericolo e sofferenza. Ne consegue un danneggiamento della relazione di attaccamento madre-bambino. Ciò comporta inevitabilmente delle ripercussioni nell’area dell’adattamento e delle competenze sociali, poiché si riscontrano frequentemente disregolazione emotiva, bassi livelli di autostima e difficoltà nell’instaurare delle sane relazioni sociali, poiché si viene investiti dalla paura di subire un abbandono dalle persone affettivamente significative. Sotto il profilo comportamentale si possono osservare comportamenti impulsivi, tendenze depressive o suicidarie, disturbi del sonno e dell’alimentazione, inibizioni, paure e fobie. Nell’area delle capacità cognitive e di problem solving, i minori vittime di violenza assistita presentano difficoltà nell’apprendimento, un più basso rendimento scolastico e una maggiore difficoltà nella risoluzione dei problemi.
Il dramma vissuto da chi assiste alla violenza all’interno della famiglia, lascia segni indelebili e produce effetti psicologici gravi, quali tristezza, ansia, delusione, rabbia, paura. Tutte emozioni che permangono in maniera costante e pervasiva nella propria vita. I minori esposti a violenze che mettono in pericolo la propria vita e/o quella delle figure significative incorrono nello sviluppo del disturbo post-traumatico da stress, che può portare all’evitamento degli stimoli associati al trauma, o, di contro, a rivivere il trauma ad esempio nel gioco, o sotto forma di incubi notturni e ricordi disturbanti durante il giorno. In alcuni casi, inoltre, potrà verificarsi una perdita di memoria rispetto all’evento traumatico a cui si è assistito, come forma di difesa.
I bambini e le bambine che assistono a episodi di violenza, molto spesso, provano un forte senso di colpa per il fatto di sentirsi privilegiati quando non sono vittimizzati/e direttamente rispetto ai familiari che subiscono percosse e minacce; allo stesso tempo, può accadere che possano sentirsi responsabili di tale violenza e considerarsi cattivi/e.
Di Blasio (2000), sottolinea quanto l’attribuzione della causa degli eventi a fattori interni a sé da parte del minore, contribuisce a ridurre, fino ad annullare, le proprie risorse e capacità di coping, inducendo in esso forti sentimenti di impotenza e fallimento. Talvolta, i figli cresciuti in contesti familiari violenti possono sviluppare comportamenti adultizzati di accudimento verso uno o più membri del nucleo familiare, adottando diverse strategie, quali filtrare le chiamate e i contatti con il maltrattante, difendere la madre o i fratelli dalle percosse, col rischio di riportare loro stessi danni fisici. I bambini in età scolare possono, inoltre, essere terrorizzati all’idea di uscire di casa, in quanto, in loro assenza, la madre potrebbe essere picchiata. Ciò determina spesso problemi anche a livello scolastico, quali assenteismo e problemi di comportamento nei confronti dei pari.
Nella maggioranza dei casi, il minore tende a diventare compiacente verso l’uno o l’altro genitore e a prenderne le parti. Spesso, i figli sono portati a considerare responsabile delle tensioni familiari la figura materna e si sentono legittimati, dal maltrattante, a denigrarla e svalutarla. Ciò si verifica a causa dell’apprendimento di modelli relazionali disfunzionali. Difatti, è assai probabile che un/a bambino/a, vedendo il padre insultare o picchiare quotidianamente la madre, imiti tale comportamento e interiorizzi l’idea che è questo il modo corretto di rapportarsi con le figure significative della propria vita. È in questo modo che avviene quella che si definisce la trasmissione intergenerazionale della violenza.
In adolescenza possono aumentare i comportamenti devianti e delinquenziali, come il rendersi protagonisti di episodi di bullismo a danno di propri/e coetanei/e, lo sviluppo di comportamenti autolesivi, l’uso di sostanze stupefacenti e lo sviluppo di disturbi nella sfera sessuale.
Come aiutare, dunque, i minori vittime di violenza assistita a rielaborare i traumi vissuti?
Per porre fine alla violenza, di cui il minore è vittima e/o a cui assiste, occorre mettere in atto tutta una serie di interventi di protezione in relazione alla gravità della situazione, in termini di tempestività, efficacia e durata.
Fin da subito appare fondamentale garantire ai bambini che assistono alla violenza e alle loro madri, la tutela del proprio diritto alla salute fisica e psicologica.
Il primo passo, finalizzato in questi casi alla protezione dei minori e alla prevenzione di abusi e maltrattamenti, è sicuramente quello di fornire un buon ascolto, ovvero comprendere, riconoscere, legittimare e sintonizzarsi in maniera autentica con le emozioni, i sentimenti non verbalizzati e le preoccupazioni di chi, con fatica, riesce a dar voce alle violenze vissute. In definitiva, occorre restituire alle vittime fiducia in sé stessi e negli altri.
L’obiettivo sta nel porre le vittime ed il loro vissuto emotivo al centro dell’operato, consentendo loro di esprimere la propria sofferenza, e di apprendere come gestirla.
Oltre ai percorsi individuali, in questi casi risultano essere particolarmente funzionali gli interventi di gruppo, in quanto quest’ultimo costituisce un’opportunità per osservare punti di forza e fragilità proprie e degli altri; esso rappresenta inoltre una nuova dimensione all’interno della quale poter sperimentare nuove modalità e forme di relazione.
All’interno del gruppo, i minori vittime di violenza potranno:
- rompere il segreto della violenza familiare attraverso la condivisione dell’esperienza e dei vissuti traumatici e la scoperta di non essere gli unici ad avere una famiglia violenta, con la rottura dell’isolamento di cui sono portatori;
- sperimentare il gruppo come luogo positivo, di accoglienza e contenimento delle proprie emozioni, in modo da fornire un luogo che possa essere vissuto come fonte di fiducia e sicurezza;
- potenziare l’autostima, attraverso la valorizzazione di sé, dei propri sentimenti, delle proprie risorse e capacità.
Il lavoro all’interno del gruppo verte dunque, in definitiva, sul far emergere l’importanza di creare relazioni positive con gli altri e il tentativo di ricostruire un legame affettivo positivo con le proprie figure di riferimento.
Per concludere, appare più che mai urgente ed importante, agire attivamente nella società per rafforzare sempre più la consapevolezza sui fenomeni della violenza, al fine di migliorare l’efficacia degli strumenti e delle strategie d’intervento per proteggere le donne e i propri figli dalle violenze e dai soprusi perpetrati ai loro danni, passando anche e soprattutto per l’ampliamento e il rafforzamento della rete di servizi sul territorio, quali i Centri Anti Violenza (CAV) e le Case Rifugio.
Dott.ssa Cinzia D’Intino – Psicologa
BIBLIOGRAFIA
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