Il nuovo reato di femminicidio: un passo avanti o una misura simbolica?
Introduzione
Il Consiglio dei Ministri, in occasione della riunione del 7 marzo 2025, ha approvato un disegno di legge – proposto dai Ministeri della Giustizia, dell’Interno, per la Famiglia Natalità e Pari Opportunità, per le Riforme istituzionali e Semplificazione normativa – che introduce nel codice penale il reato autonomo di femminicidio.
Il provvedimento, dal titolo “Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”, passa ora al Parlamento, ma il principio essenziale, ossia l’introduzione del femminicidio come reato autonomo, è definito.
Come si legge nel comunicato stampa del Governo “Il testo appronta un intervento ampio e sistematico per rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno di drammatica attualità delle condotte e manifestazioni di prevaricazione e violenza commesse nei confronti delle donne”.
Fino ad oggi il codice penale italiano puniva l’uccisione di una donna con la norma generale sull’omicidio (art. 575 c.p.), con la possibilità di applicare alcune aggravanti specifiche, come la relazione affettiva con la vittima (art. 577 c.p.) o la crudeltà (art. 61 c.p.).
Ora viene inserito un apposito reato e questo ha acceso un intenso dibattito tra sostenitori e critici, ponendo interrogativi sull’efficacia della norma e sulla sua effettiva necessità.
I recenti dati
Secondo i dati ISTAT relativi all’anno 2023, pubblicati il 20 novembre 2024, in Italia oltre il 70% degli omicidi di donne è commesso da partner o ex partner.
Il Report 2024 del Servizio Analisi Criminale evidenzia che, lo scorso anno, sono state uccise 113 donne, di cui 99 in ambito familiare o affettivo. Tra queste, 61 sono state assassinate dal partner o dall’ex partner.
Sebbene si registri una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, gli episodi di stalking, maltrattamenti e violenze domestiche risultano in crescita, indicando un problema strutturale.
Il termine femminicidio
Il termine “femminicidio” non ha solo un significato giuridico, ma anche sociologico e indica l’uccisione di una donna in quanto tale, spesso all’interno di un contesto di violenza domestica o di genere.
Non è, dunque, un generico omicidio di una donna, ma quello alla cui origine esiste una dinamica di sopraffazione, controllo, possesso e subordinazione rispetto agli uomini.
Nei dizionari italiani il “femminicidio” è un termine abbastanza recente, perché esiste da poco più di una decina d’anni.
Questa parola fu usata per la prima volta nel 1992, in un articolo della sociologa Diana Russell per descrivere un omicidio compiuto da un uomo nei confronti una donna “in quanto donna”. Successivamente l’antropologa Marcela Lagarde chiarì che il femminicidio non definiva solo la morte di una donna, ma anche la discriminazione e la violenza realizzate precedentemente.
Cosa prevede la nuova legge?
Secondo il nuovo articolo 577-bis del codice penale “Chiunque cagiona la morte di una donna è punito con la pena dell’ergastolo quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna, o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.
La recente legge prevede ulteriori misure per rafforzare la tutela delle vittime di violenza di genere e dei loro familiari. Tra queste, l’audizione obbligatoria della persona offesa da parte del Pubblico Ministero nei casi di “codice rosso”; informazioni, su loro richiesta, ai parenti della vittima in caso di evasione, scarcerazione, revoca e sostituzione delle misure applicate all’imputato o al condannato e il parere non vincolante della vittima in caso di “patteggiamento” per reati correlati.
Inoltre, sono previste misure cautelari più severe per gli imputati e limitazioni ai benefici penitenziari per gli autori dei reati da “codice rosso”, oltre a rafforzare gli obblighi formativi dei magistrati.
Vengono anche inasprite le pene nei casi di maltrattamenti in famiglia (la cui pena è aumentata da un terzo alla metà qualora il fatto sia commesso “come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”) di lesioni personali, stalking e violenza sessuale se il delitto viene commesso per odio di genere. La pena è aumentata da un terzo a due terzi quando riguardi il reato di diffusione illecita di immagini o video intimi.
Un’ulteriore modifica stabilisce che “Quando ricorre una sola circostanza attenuante ovvero quando una circostanza attenuante concorre con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e la prima è ritenuta prevalente, la pena non può essere inferiore ad anni ventiquattro. Quando ricorrono più circostanze attenuanti, ovvero quando più circostanze attenuanti concorrono con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e le prime sono ritenute prevalenti, la pena non può essere inferiore ad anni quindici”.
Quindi, oltre a introdurre un reato autonomo, la legge stabilisce il contesto di genere in cui avviene il femminicidio, nonché la pena dell’ergastolo, con un regime particolare per l’applicazione delle attenuanti, escludendo per i condannati benefici penitenziari.
I “pro” dell’introduzione del reato di femminicidio
Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano ed esperto di violenza di genere, ha sottolineato l’importanza di questa legge “dal punto di vista simbolico e culturale”, sebbene rilevi la necessità di modifiche dal punto di vista tecnico. Favorevole la Senatrice Valeria Valente ex presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio nella XVIII legislatura, poiché il disegno di legge “ è un testo dirompente e coraggioso”. Secondo Paola Di Nicola Travaglini, Giudice della Cassazione è “epocale la portata della nuova norma … ha il merito di nominare un fenomeno e definirlo”.
Ed invero l’introduzione di un reato specifico rafforza il riconoscimento – giuridico e sociale – della violenza contro le donne e, in particolare, definisce femminicidio l’omicidio di una donna come atto di discriminazione o di odio o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità. Questo dovrebbe incentivare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.
Inoltre, la previsione dell’ergastolo potrebbe rappresentare un deterrente per i potenziali autori di femminicidio, sebbene alcuni studi indichino che la certezza della pena sia più efficace della sua severità nel prevenire i reati.
L’introduzione del reato autonomo garantisce, poi, una maggiore attenzione alle vittime e ai loro familiari, che potrebbero avere diritti specifici nel processo penale, come un accesso più rapido a risarcimenti e protezioni.
Infine, questa riforma allinea l’Italia ad altri Paesi che hanno introdotto il femminicidio come reato autonomo, ad esempio il Messico e l’Argentina che, peraltro, hanno previsto anche politiche di prevenzione e supporto alle vittime.
Va ricordato come l’ONU e il Consiglio d’Europa raccomandino da tempo l’introduzione di misure specifiche contro la violenza di genere, tra cui il riconoscimento del femminicidio come reato autonomo.
I “contro” dell’introduzione del reato di femminicidio
Alcuni esperti ritengono che l’introduzione di un nuovo reato sia più una mossa politica che una reale necessità giuridica: una delle critiche prevalenti riguarda il fatto che il femminicidio, nella pratica, risulta già punito con l’ergastolo in presenza di aggravanti (ad esempio la premeditazione contestata e riconosciuta sussistente nei processi per l’omicidio di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano).
Inoltre, la creazione di un reato che punisce più severamente un omicidio in base al genere della vittima (donna) potrebbe essere considerata discriminatoria nei confronti degli uomini, perché in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. In altre parole, perché la fattispecie non potrebbe essere applicata nel caso in cui sia un uomo ad essere ucciso per motivi di discriminazione, di odio o di repressione?
In altri ordinamenti, come quello francese, sono state previste aggravanti specifiche, invece di inserire un apposito reato di femminicidio. In Spagna la Ley Orgánica 1/2004 ha stabilito pene più severe per gli autori dei reati “spia”, nonché maggiori tutele per le vittime..
Un altro aspetto critico riguarda la difficoltà di dare concretezza al contenuto della norma: cosa si intende per “fatto commesso per reprimere la personalità della donna”? E la finalità di “reprimere diritti o libertà”? Come si dimostra e come potrebbero i Giudici accertare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la motivazione discriminatoria o il sentimento di odio sottostante all’omicidio?
In buona sostanza, si contesta una indeterminatezza della formulazione testuale della condotta punibile e delle motivazioni della stessa che potrebbe comportare una difficoltà per i Giudici, con un conseguente rallentamento nella celebrazione dei processi.
Molti esperti sottolineano, infine, come l’introduzione del nuovo reato non affronti (e non possa abbattere) le reali cause della violenza sulle donne, che sono di natura culturale e sociale: per contrastare il fenomeno suggeriscono di investire in educazione, prevenzione e supporto alle vittime.
Oltre la repressione: quali misure di prevenzione?
Se, da un lato, l’inasprimento delle pene può avere un effetto deterrente, dall’altro, è fondamentale agire sulla prevenzione. Alcune misure potrebbero essere il potenziamento dei Centri Antiviolenza e delle case rifugio, garantendo fondi adeguati per l’assistenza alle vittime.
Essenziale è anche l’educazione nelle scuole, con specifico riferimento alla parità di genere e alla promozione di una cultura del rispetto. Per questo motivo DonnexStrada ha attivato il DXS LAB, pensato per i ragazzi delle scuole secondarie di secondo livello, sulle tematiche della violenza di genere e dell’attivismo. Il progetto di DonnexStrada si basa sulla consapevolezza che, attraverso l’utilizzo della tecnologia e dei social, gli studenti possano diventare agenti del cambiamento sociale e culturale.
Importante appare, altresì, la formazione specifica per le Forze dell’Ordine e la previsione di maggiori tutele per le donne che denunciano, per evitare la vittimizzazione secondaria.
Conclusioni
L’introduzione del reato di femminicidio rappresenta un passo importante nella lotta contro la violenza di genere, in quanto dà maggiore visibilità al problema e inasprisce le pene.
Tuttavia, senza adeguate politiche di prevenzione e protezione delle vittime, il rischio è che questa legge resti solo una misura simbolica.
Avv. Stefania Crespi