IL VALZER DELLA NASCITA RELAZIONALE - DONNEXSTRADA
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IL VALZER DELLA NASCITA RELAZIONALE

Teorizzazioni dell’attaccamento umano

Siamo esseri sociali per natura.

Ed in quanto tali, siamo richiamati alla chimica del contatto sin dal nostro capolino nel mondo.

Dalle primissime ancestrali fasi di respiro, giungiamo predisposti all’innato e biologico incontro con l’altro.

Le dinamiche che sottendono il normale relazionarsi umano, tuttavia, rappresentano un campo intrinsecamente vasto, profondamente intimo e disegualmente intriso di storie condivise.

Numerose riflessioni teorico-cliniche hanno mosso le menti ricercatrici di vari autori che si sono occupati di relazionalità, attaccamento ed evoluzione emotivo-affettiva dell’individuo.

La teoria dell’attaccamento di John Bowlby (1969) costituisce al giorno d’oggi il paradigma più completo, strutturato e flessibile cui fare riferimento per comprendere e spiegare la psicodinamica che sottende i processi evolutivo-relazionali, sia normali che patologici.

Come accennato l’uomo sin dalla sua nascita non è un’entità isolata, ma una persona in relazione ad altre persone. Partendo da tale presupposto lo psicologo britannico raccolse sistematicamente una vasta documentazione clinica che gli consentì di focalizzare il proprio interesse sulla natura di quel legame che si va precocemente instaurando tra l’individuo in via di sviluppo e chi se ne prende cura. Sarà compito del caregiver mettere in atto una serie di comportamenti con lo scopo di proteggere il piccolo, quali la rassicurazione e la vicinanza fisica ed empatica, il sostegno e la comprensione, valutando di volta in volta le situazioni secondo la propria personale percezione di minaccia e cogliendo i vari segnali inviati dal bambino. La mancata sintonizzazione emotiva e la non disponibilità genitoriale (Emde, 1980; Tronick, 1989) costituiscono per eccellenza le condizioni traumatiche del malfunzionamento del sistema diadico.

Nel dettaglio, il ruolo primario del caregiver (la figura primaria che si occupa del neonato) consiste nel creare un legame di attaccamento sicuro che permetta un sano dialogo emotivo con il bambino. Affinché entri in tale comunicazione, l’adulto dovrà sintonizzarsi  con i mutamenti degli stati interni del piccolo basati sul corpo, relativi alla stimolazione del sistema nervoso centrale e autonomo (Schore, 2009). Valuterà inoltre le espressioni e manifestazioni non verbali che indicano il grado di stimolazione del bambino, e provvederà alla regolazione di questi stati affettivi, siano essi positivi o negativi. La relazione di attaccamento media la regolazione diadica delle emozioni basate sul corpo, in modo tale che il caregiver regoli lo sviluppo postnatale del sistema nervoso centrale e autonomo del bambino.

Madre e bambino daranno così luogo a cicli di sintonizzazione/desintonizzazione/risintonizzazione, realizzando una “nascita psicologica” (Mahler, Pine e Bergmann, 1975).

La capacità adattiva di spostare la regolamentazione a seconda del contesto sociale emerge da una storia d’attaccamento sicuro e da un’adeguata sintonizzazione.

Inoltre, da questa “parte pensante del cervello emotivo” dipendono funzioni vitali quali

l’adattamento sociale, il controllo dell’umore, l’interesse nell’attuare progetti e la responsabilizzazione, tutti tratti cruciali che concorrono a formare la personalità di un individuo (Cavada e Schultz, 2000).

 

L’impronta dei modelli relazionali

La prospettiva neurologica stessa mostra come la sintonizzazione e lo stress relazionale influiscono sulla maturazione esperienza-dipendente dei sistemi regolatori cerebrali.

La sintonizzazione del bambino con la mente di altre persone è un processo fondamentale per la maturazione dei circuiti cerebrali che mediano le sue capacità di autoregolazione: la relazione madre bambino produce, dunque, veri e propri mutamenti cerebrali.

Da tale fondamentale funzione regolatoria si svilupperà poi l’intero Sé.

Un importante concetto è quello dei Modelli Operativi Interni (MOI), sviluppato sempre da Bowlby: essi sono il riflesso delle interazioni che ogni uomo sperimenta nel corso della propria evoluzione, nonché memorie delle relazioni che acquisiscono un determinato valore strutturale per la mente all’interno di una prospettiva relazionale.

La mente cresce e si sviluppa grazie alla diade relazionale. Questa organizzazione influirà inevitabilmente sul funzionamento relazionale.

Un attaccamento di tipo sicuro (caratterizzato dunque da fiducia nella disponibilità del caregiver) si associa a MOI flessibili che evolvono nel corso dell’esistenza. Pertanto un’esperienza affidabile e certa risulterà essenziale per l’acquisizione della capacità socio cognitiva di ogni adulto. (Fonagy et. Al, 1994).

Cosa accade dunque quando si interiorizza un modello insicuro, ambivalente o non disponibile? Quando le esperienze precoci intriste di deprivazione, abbandono o ambivalenza costringono in modelli dell’altro rigidi, contraddittori o dissociati?

A causa di questi MOI inadeguati, viene trasmessa inconsciamente una vulnerabilità a sviluppare determinati tratti relazionali. Vi è, infatti, continuità nel processo di formazione relazionale del bambino con quelle che saranno le sue risoluzioni mentali in età adulta.

Secondo Holmes (1993): “Dalla costanza materna deriva il senso della storia: l’affidabilità della risposta della madre al bambino diventa il nucleo della competenza autobiografica. Dall’holding materno deriva l’abilità di tenere se stessi nella propria mente: la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e gli altri come persone che hanno una mente”.

 

Spazi di possibilità protette e riparazioni terapeutiche

Se da piccoli l’esplorazione, la scoperta, la conoscenza della realtà mondo che ci circonda apre alla distinzione tra esterno ed interno, consentendoci di rappresentarci, dentro e fuori  e quindi di percepirci come soggetti senzienti (capaci di emozionarsi, protendersi, muoversi) ci rendiamo presto conto che oltre a noi ci sono anche gli altri. Crescendo, tali altri si fanno sempre più numerosi. Appare dunque chiaro che muovere un passo verso l’altro richieda la possibilità di incontrarsi in una stanza interiore arredata al con-tatto.

Il mondo relazionale, quasi un incessante walzer di incontri, allontanamenti, sintonizzazioni , negoziazioni, riconoscimento reciproco, rotture e riparazioni danza in ogni rapporto adulto e significativamente fondato sull’io-tu.

Tale danza della vita, inesorabilmente instancabile, conosce momenti di difficoltà e incomprensioni del tutto contestualizzabili nel teatro evolutivo di ogni singolo individuo.

La relazione che abbiamo con i nostri bisogni dipende inevitabilmente da quanto questi siano stati riconosciuti e accolti durante la nostra crescita, ma anche da altri fattori quali la cultura e la società che abitiamo quotidianamente.

Per alcuni è complesso legittimare i propri bisogni, specie se non si è fatta sufficiente esperienza di tale legittimazione. Inoltre, parlando di bisogni le cose si fanno ancor più complesse  se oltre alla relazione con noi stessi consideriamo quella con gli altri.

Relazionarsi equivale a riconoscere la moteplicità dell’altro. E darsi all’altro richiede vulnerabilità, messa in gioco, rischio.

Nella stanza di terapia lavoriamo sul poter sperimentare uno spazio sicuro e protetto, ove dar voce all’espressione più intima dei nostri bisogni, nell’ambito di una relazione terapeutica supportiva e riparativa.

Qui la relazione si fa tana, ove potersi sentire riconosciuti ed in grado di riconoscere.

 

Lucia Scarano

Psicologa

Psicoterapeuta in formazione in Analisi Bioenergetica

Insegnante Mindfulness

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BIBLIOGRAFIA:

  • BOWLBY J. (1963), Child Care and the Growth of Love. London: Pelican
  • BOWLBY J. (1969), Attachment and Loss: Volume 1- Attachment. New York
  • Basic Books, p. 130
  • BOWLBY J. (1988), Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Trad. it. di Milano: Raffaello Cortina, 1989
  • LINGIARDI V. (2019)  Io, tu, noi. Vivere non se stessi, l’altro, gli altri, Utet
  • SCHORE A. N. (2001), The effects of a secure attachment relationship on right brain development, affect regulation, and infant mental health. Infant Mental Health J., 22:7–66
  • SCHORE A. N. (2003). Ed it. La regolazione degli affetti. Astrolabio 2008
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