La rottura del fidanzamento
Il matrimonio è di solito preceduto, nel nostro costume sociale, dal cosiddetto fidanzamento.
Per dare una definizione completa, la giurisprudenza specifica come il fidanzamento sussista allorquando ricorra “…una dichiarazione espressa o tacita, normalmente resa pubblica nell’ambito della parentela, delle amicizie e delle conoscenze, di volersi frequentare con il serio proposito di sposarsi, affinché ciascuno dei promessi possa acquisire la maturazione necessaria per celebrare responsabilmente il matrimonio…” (Cass. Civ. Sez. II, 2 maggio 1983, n. 3015).
Il periodo, intercorrente, appunto, tra il fidanzamento e la celebrazione del matrimonio, viene preso in considerazione dal nostro ordinamento agli artt. 79, 80 e 81 c.c., che disciplinano la “promessa di matrimonio” e le relative conseguenze in caso di violazione della promessa.
Alcune precisazioni iniziali
Prima di proseguire con la disamina della promessa di matrimonio, occorre precisare come la stessa, una volta formulata, non sia in alcun modo vincolante per le parti. Il principio fondamentale è infatti quello della incoercibilità della promessa di matrimonio: con il fidanzamento, nessuno è obbligato a presentarsi all’altare o innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile, né a eventualmente pagare una penale o un indennizzo all’altra parta (e, qualora così convenuto, detta pattuizione sarebbe nulla).
Il carattere non vincolante della promessa di matrimonio è espressione del più ampio principio di ordine pubblico della libertà matrimoniale, consacrato negli artt. 2 e 29 Cost, oltre che in altre norme internazionali ed europee.
Si segnala in ogni caso, per curiosità giuridica, come l’art. 526 del nostro Codice Penale, abrogato dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, puniva, in passato, la seduzione con promessa di matrimonio, sancendo che “chiunque, con promessa di matrimonio, seduce una donna minore di età, inducendola in errore sul proprio stato di persona coniugata, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale”.
Allo stesso modo, un orientamento della giurisprudenza civile, oggi ampiamente superato, ammetteva il risarcimento a favore della donna che avesse prestato il consenso ad una relazione sessuale sul presupposto esclusivo di una falsa promessa di matrimonio fatta dall’uomo con dolo o colpa (Cass. 24 gennaio 1972, n. 178; Cass. 11 marzo 1976, n. 846; Cass. 4 agosto 1985, n. 2521; Cass. 8 luglio 1993, n. 7493). Secondo questo orientamento, l’interesse leso sarebbe la “libertà sessuale” della donna la quale, in assenza dell’inganno, mai si sarebbe concessa (Cass. 20 dicembre 1954), mentre il danno risarcibile sarebbe riferibile alla vita da relazione, connesso alla “disistima sociale” ed alla “perdita di altre occasioni di matrimonio”. Come detto, dette massime giurisprudenziali, peraltro frutto di un determinato contesto socio-culturale, non hanno più trovato seguito nei Nostri Tribunali, tanto che è stato più volte ribadito come “…la condotta del nubendo promittente comportante lo scioglimento della promessa…integra un’espressione del diritto fondamentale della libertà di contrarre matrimonio, quindi detta rottura anche se fatta senza giusto motivo non potrà mai essere considerata antigiuridica poiché non è non iure e pertanto non potrà mai essere produttiva di danni ingiusti” (Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003 e, più recentemente, Cass. Civ. 02 gennaio 2012, n. 9).
Le forme del fidanzamento
La promessa di matrimonio può essere:
- espressa o tacita;
- unilaterale o bilaterale.
La promessa bilaterale (ovverosia quella che proviene da entrambi i nubendi) può a sua volta essere:
- semplice;
- solenne, stipulata, unicamente da persone maggiorenni o dai minori ammessi a contrarre matrimonio, per atto pubblico o per scrittura privata oppure risultante dalla richiesta di pubblicazione. Rispetto a questo ultimo requisito, la Suprema Corte ha chiarito come sia invero sufficiente che la volontà “…risulti da uno o più scritti, anche non contestuali, da cui si evinca che anche l’altra parte ha, a sua volta, manifestato con la propria corrispondenza il proposito di contrarre matrimonio” (Cass. 20 maggio 1955, n. 1480).
Se la promessa semplice non è soggetta ad alcun requisito di forma o di capacità dei promittenti e non produce alcun effetto giuridico diretto, per quanto riguarda la promessa solenne, il nostro ordinamento prevede invece, a fronte dell’affidamento creatosi in ciascuno dei nubendi, delle specifiche conseguenze e l’insorgere di una particolare responsabilità risarcitoria.
Le conseguenze della rottura della promessa
- Il risarcimento dei danni causati per le spese fatte o le obbligazioni contratte a causa della promessa di matrimonio
In caso di promessa solenne, all’art. 81 c.c. viene previsto che il promittente, qualora senza giusto motivo ricusi successivamente di contrarre le nozze (o dia con la propria colpa giusto motivo al rifiuto dell’altro), è tenuto al risarcimento dei danni causati all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Il danno è quindi limitato alle spese o alle obbligazioni contratte, ad esempio, per i festeggiamenti del fidanzamento, le spese di prenotazione del viaggio di nozze e di preparazione della cerimonia nuziale, di acquisto di beni o oggetti per la futura convivenza matrimoniale, acquisto abito da sposa etc.
Nel silenzio della norma su cosa si intenda per “giusto motivo”, sarà il Giudice, di volta in volta, a dover valutare in concreto la “seria ed apprezzabile ragione della rottura del fidanzamento”.
Tuttavia, dottrina e giurisprudenza fanno sovente riferimento alle cause che determinano l’annullamento del matrimonio ai sensi dell’articolo 122 c.c.: ad esempio, l’errore sull’identità della persone o sulle qualità personali dell’altro, come l’esistenza di malattie fisica o psichica o anomalia o deviazione sessuale tali da impedire la procreazione o lo svolgimento della vota coniugale, o l’esistenza di condanne per delitti non colposi, o la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale, purché si accerti, in giudizio, che non vi sarebbe stato consenso alla promessa se fossero state conosciute.
- La restituzione dei doni
La restituzione dei doni, prevista dall’art. 80 c.c., prescinde dalla qualifica della promessa di matrimonio come solenne ed è diretta conseguenza della mancata celebrazione del matrimonio. In tal senso, non rilevano, ai fini dalla domanda di restituzione dei doni, i motivi del rifiuto alla celebrazione né quale dei nubendi abbia causato la rottura della promessa.
I doni di cui è possibile chiedere la restituzione ai sensi dell’articolo 80 c.c. sono le cosiddette donazioni prenuziali, ovverosia “i regali” tra fidanzati determinati dalla promessa di matrimonio, non costituenti semplici manifestazioni d’affetto espressione di un uso e costume (come ad esempio regali di compleanno, per festività o ricorrenze) e dal valore tale da produrre un depauperamento del patrimonio del donante.
Tra i doni prenuziali di cui può essere chiesta la restituzione, la giurisprudenza ricomprende, ad esempio, l’anello di fidanzamento (sentenza n. 18280/2016 della Corte di Cassazione) oppure la donazione indiretta di un immobile, ossia la fattispecie in cui la casa venga acquistata dalla fidanzata con il denaro del fidanzato. Se il dono è stato fatto unicamente in vista del matrimonio e questo non si celebra, il donante ha diritto di chiedere la restituzione di quanto donato ai sensi di cui all’art. 80 in esame.
Estranee alla delineata disciplina sono invece le donazioni obnuziali fatte, dai nubendi reciprocamente tra loro o anche da un terzo, esplicitamente in riguardo di un determinato futuro matrimonio (art. 785 c.c.). Tali donazioni richiedono l’atto pubblico e non producono effetto finché il matrimonio non si è celebrato.
Avvocato Micol Missana