La sostenibilità è fashion? - DONNEXSTRADA
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La sostenibilità è fashion?

Uno dei temi che ha acquisito una notevole importanza a livello socio culturale ed economico negli ultimi anni è sicuramente il tema della sostenibilità.

L’impegno volto in questa direzione negli ultimi anni ha preso il nome di Corporate Social Responsibility, intesa come management che crea valore per una vasta platea di soggetti portatori di interesse detti stakeholders. La responsabilità sociale è oggi sempre più un obiettivo, come l’economicità fondata su efficacia ed efficienza, e in alcuni casi la sostenibilità può essere considerata una fonte di competitività perché comunicare al consumatore la sostenibilità del proprio brand garantisce un maggiore capitale di reputazione il che si trasforma in vantaggio competitivo.

Ma perché l’esistenza di una moda sostenibile è di notevole importanza?

L’industria mondiale della moda ha un reddito annuale globale di 2,4 miliardi di dollari e il 51% è donna. Il consumo di moda è molto diffuso nelle economie industrializzate e siccome la moda è fondata sulle tendenze, il prodotto ha un ciclo di vita molto breve che porta a un elevato accumulo di rifiuti spesso non biodegradabili. Lo spreco di materiali, la difficoltà nel garantire il riciclo di una massa così grande di potenziali rifiuti e l’impiego intensivo di risorse naturali nel processo produttivo fanno della moda una delle industrie più inquinanti al mondo e i dati relativi ad esso che si trovano online sono angoscianti. L’impatto della moda sull’ambiente e sulla società è catastrofico: dai rifiuti tossici allo sfruttamento minorile, dalla deforestazione alle donne schiave/lavoratrici…

Non comprare potrebbe forse apparire la scelta più ecologica, ma soffocare il proprio istinto fashion e rinunciare del tutto alle gioie dello shopping non è l’unica strada percorribile. Tra le donne, in particolare, sta emergendo un nuovo profilo di consumer più evolutx e attentx: non solo al rapporto qualità-prezzo, ma anche alla sostenibilità del prodotto.

Le aziende che vogliono sopravvivere hanno integrato nel loro brand il cambiamento nei consumi iniziando a garantire la sostenibilità dei loro prodotti e modificando sia i paradigmi produttivi che la gestione della filiera di cui fanno parte. In questo caso si parla di filiera integrata cioè in “miglioramento continuo” il che presuppone una conoscenza preliminare dei problemi e delle criticità riscontrabili nelle varie fasi delle lavorazioni: dal consumo energetico alle emissioni inquinanti, dall’impronta idrica alla generazione di rifiuti, dal grado di biodegradabilità/riciclabilità dei beni a fine vita ai costi ambientali della logistica.

È quindi evidente come l’industria della moda negli ultimi anni abbia cercato di proporre al consumatore un prodotto sempre più pulito e sostenibile. La sostenibilità del prodotto non dipende solo dalla materia prima e dalla corretta gestione del ciclo di lavorazione e produzione, ma anche dalla tracciabilità, intesa come caratteristica informativa garante della provenienza del capo d’abbigliamento o degli accessori. La tracciabilità viene comunicata attraverso l’utilizzo di etichettature che permettono di riconoscere il valore del bene, il suo legame con il territorio in cui è stato prodotto e soprattutto l’impatto ambientale.

 Ma come si riesce a garantire che tutte le informazioni di cui hanno bisogno i nuovi consumatori, per capire la provenienza e l’eticità di un determinato marchio o prodotto, siano inserite correttamente in etichetta? La blockchain è sicuramente uno degli strumenti più all’avanguardia. Immaginate la blockchain come un database in cui vengono registrate tutte le transazioni e i movimenti in modo da garantire completa tracciabilità, trasparenza e qualità dei prodotti sul mercato.

Essere consumatorx consapevolx, tuttavia, è un un’impresa tutt’altro che semplice. Si è spesso costrettx a districarsi tra informazioni contraddittorie e operazioni di green-washing -campagne marketing volte a dare anche al più inquinante dei brand una credibilità ambientale.  Tuttavia in cima alla lista delle pratiche sostenibili c’è senza dubbio il vintage: acquistare (e vendere) abbigliamento di seconda mano è una pratica ecologica soddisfacente. È la formula su cui si basano App come Vestiaire Collective, il marketplace dell’usato firmato (o di moda pre-loved come viene definita sul sito) e Depop App, nata per agevolare le vendite da parte di privati per scambi a impatto zero.

Le grandi aziende del fast fashion sotto la pressione dell’opinione pubblica per sopravvivere si pongono obiettivi sempre più green da raggiungere proponendo al mercato un prodotto che sia fashion e allo stesso tempo sostenibile. I brand più conosciuti producono Capsule collection c che fanno della trasparenza e del controllo della filiera produttiva il loro valore aggiunto. Un esempio di moda ecosostenibile è la collezione Conscious in cotone bio e riciclato di H&M. Loro Piana, impresa produttrice di tessuti in cashmere e lane esclusive, rappresenta un esempio eccellente di azienda improntata a un concetto di sostenibilità profit driven: l’intera value proposition della marca è costruita intorno al concetto di eccellenza dei materiali, il controllo delle fonti di approvvigionamento e quindi la trasparenza della filiera produttiva.

Nuove startup che hanno la sensibilità ambientale nel proprio DNA nascono e proliferano in ogni ambito, soprattutto nell’industria della moda.  La moda sostenibile quindi è senza dubbio la nuova tendenza ed è destinata ad esserlo sempre di più. Nonostante comprare sostenibile non sia facile è comunque possibile ed entrando in un qualsiasi negozio o sfogliando una qualunque rivista basterà essere più consapevolx e attuare scelte che puntino a ad uno stile che sia il più sostenibile possibile.

 Alice Frediani

 

Fotografie di ©Bianca Hirata

 

REFERENCES

Corbellini E, MIrafioti E, LA CSR NELLA MODA. Economia e management, Milano 2013.

Tartaglione, Gallante, Guazzo, SoStenibilità: moda Cosa significa, come si applica,

dove sta andando l’idea di sostenibilità nel sistema moda – 2012 Ares Soges

www.apparelcoalition.org

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