La sottrazione internazionale dei minori
Negli ultimi anni sono divenuti molto frequenti i casi in cui i figli minori sono trasferiti o trattenuti illegittimamente all’estero da un genitore senza il consenso dell’altro; ciò, accade in quanto, in presenza di un conflitto all’interno della vita di coppia, si tende a fare rientro nel proprio Paese di origine, portando con sé i figli e così coinvolgendoli (spesso nel più drammatico dei modi) nella controversia tra i genitori.
Tale casistica si inquadra nel più ampio fenomeno relativo alla c.d. sottrazione internazionale dei minori, che occorre allorquando un minore, avente la residenza abituale in un determinato Stato, sia condotto da uno dei genitori in un altro Stato senza il consenso dell’altro.
Purtroppo, anche in Italia, la sottrazione internazionale dei minori ha assunto proporzioni sempre maggiori, a causa della crescente mobilità delle famiglie italiane attraverso le frontiere e dell’incremento di matrimoni/convivenze per così dire “miste”: infatti, comparando le analisi statistiche, a fronte di 110 casi di sottrazione riscontrati nel primo semestre del 2015, nel primo semestre del 2022 si contano 441 casi di bambini sottratti da/per l’Italia.
Una precisazione importante: fondamentale è individuare la “residenza abituale” del minore.
Infatti, ai fini della sottrazione non rileva affatto quale sia cittadinanza dei genitori o del bambino, ma unicamente l’allontanamento del minore dal luogo in cui si trova il proprio centro di affetti, non solo parentali, ma anche derivanti dallo svolgimento della sua quotidiana vita relazione.
Il quadro normativo internazionale
Coinvolgendo Stati diversi, è sorta la necessità di disciplinare la materia in modo uniforme, attraverso i meccanismi di cooperazione giudiziaria, individuando una soluzione sovrannazionale al problema della sottrazione.
Così, il 25 ottobre 1980, viene firmata la Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, cui oggi aderiscono 95 Stati e che rappresenta la prima normativa pattizia multilaterale interamente dedicata alla tutela del minore sottratto. Come stabilito dal suo Preambolo, con la Convenzione del 1980, gli Stati firmatari hanno posto quale loro obiettivo principale quello di “proteggere il minore a livello internazionale contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro illecito e stabilire procedure tese ad assicurare l’immediato rientro del minore nel Paese di residenza abituale”.
Nel presente articolo si approfondiranno gli aspetti normativi civili unicamente dal punto di vista internazionale, ovverosia tra Italia e Paesi esteri non facenti parte dell’Unione Europea firmatari della Convenzione dell’Aja del 1980 (per gli Stati UE si applica infatti il Regolamento Bruxelles II ter, che ricalca quella che in esame, seppur con delle specificazioni).
L’automatico rientro del minore sottratto nel Paese di residenza abituale
Come menzionato, la finalità della Convenzione è il rientro immediato del minore illegittimamente sottratto nel Paese di residenza abituale (art. 1 Conv. Aja 1980). Per garantire ciò, gli Stati hanno l’obbligo di avvalersi di procedure d’urgenza e di prendere ogni adeguato provvedimento per assicurare la realizzazione degli obiettivi della Convenzione (art. 2).
La procedura per ottenere il ritorno di un minore sottratto illecitamente, che deve essere promossa entro un anno dalla sottrazione, è di norma avviata dall’Autorità Centrale dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale prima della sottrazione, su richiesta della persona che lamenta la sottrazione. Di norma, in quanto il genitore che lamenta la sottrazione può anche decidere di rivolgersi direttamente e autonomamente alle Autorità giudiziarie o amministrative dello Stato in cui il minore è stato portato e trattenuto.
Per l’Italia, l’Autorità Centrale è istituita presso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità – Ufficio II – Autorità Centrali convenzionali (Via Damiano Chiesa, 24, 00136 ROMA, tel. +39 06.68188.326/331/535, e-mail: autoritacentrali.dgmc@giustizia.it, PEC: autoritacentrali.dgmc@giustiziacert.it).
L’Autorità Centrale, mettendosi in contatto con l’Autorità Centrale dello Stato ove il minore si trova, si attiva immediatamente per localizzare il minore sottratto e assicurare la consegna volontaria del minore o agevolare la composizione amichevole della controversia, anche avviando o agevolando l’instaurazione della procedura giudiziaria o amministrativa per ottenere il ritorno del minore sottratto.
Se il genitore sottrattore non riporta volontariamente il minore in Italia, la fase successiva è l’attivazione della procedura giudiziaria nello Stato di rifugio per ottenere l’ordine di ritorno.
In applicazione del principio dell’immediato e automatico rientro del minore nello Stato di residenza abituale, il Giudice dello Stato in cui si trova il minore emettere l’ordine di ritorno, verificando dapprima:
- se prima della sottrazione il minore avesse effettivamente la residenza abituale nello Stato in cui si chiede il ritorno,
- se il soggetto che presenta la domanda di ritorno sia titolare della responsabilità genitoriale e se effettivamente tale soggetto la esercitasse al momento della sottrazione;
- se la sottrazione sia avvenuta da meno di un anno o, se è avvenuta da oltre un anno, se il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.
- se non sussistano cause ostative rientro del minore nel Paese di residenza abituale.
Il principio di immediato ritorno del minore conosce infatti alcune tassative eccezioni. Lo Stato in cui si trova il minore sottratto non è tenuto ad ordinare il rientro dello stesso nel Paese di abituale residenza quando:
- il genitore che richiede il ritorno ha acconsentito, anche successivamente, al trasferimento (Art. 13, comma 1, lett. a);
- Sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici, o comunque a trovarsi in una situazione intollerabile (Art. 13, comma 1, lett. b);
- il minore si oppone al suo ritorno, sempre che abbia raggiunto un’età e un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere (Art 13, comma 2);
- il ritorno non è “consentito dai principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 20).
Le eccezioni: cause che escludono l’automatico rientro nello Stato di residenza abituale del minore sottratto
Di seguito, nel dettaglio, le cause che escludono il ritorno del minore sottratto.
- Il genitore che richiede il ritorno ha acconsentito, anche successivamente, al trasferimento (Art. 13, comma 1, lett. a)
Il consenso è l’approvazione, tacita o espressa, che il figlio minore viva in un altro Stato per un tempo indeterminato, mentre l’acquiescenza è l’insieme dei comportamenti tenuti dal genitore che fanno presagire inequivocabilmente che non verrà chiesto il rientro del minore nello Stato di residenza abituale. La differenza tra queste fattispecie risiede nella tempistica: il consenso viene generalmente prestato prima dell’avverarsi della fattispecie illecita; l’acquiescenza invece si realizza successivamente.
La ragione di tale eccezione è molto semplice: non è necessario attivare la procedura per il ritorno del minore qualora il genitore abbia preventivamente dato il suo consenso o abbia acquiesciuto al trasferimento. Così si è espressa la Corte di Cassazione secondo cui la tutela derivante dalla Convenzione dell’Aja “non può essere richiesta allorché il genitore istante abbia consentito al trasferimento o al mancato ritorno del minore ex art. 13, comma 1, lett. a), mancando in tal caso l’illegittimità della situazione di fatto, condizione per l’adozione delle previste misure” (Cass. Civ. 15.04.2003, n. 5944)
- Sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici, o comunque a trovarsi in una situazione intollerabile (Art. 13, comma 1, lett. b)
L’art. 13, comma 1, lett. B prevede tre separate categorie:
- Il grave rischio di pregiudizio fisico: trattasi di casi in cui il minore sia stato vittima di violenza, abusi o maltrattamenti da parte del genitore rimasto nel Paese di residenza abituale e, in generale, del rischio per lo stesso di essere vittima di un reato. La Corte di Cassazione ha, in due diverse occasioni, recisamente negato il rientro di due minori, rispettivamente in Svizzera e in Canada, a fronte della prova di abusi sessuali subiti dalla bambina (Cass. Civ. 25 settembre 2001, n. 11999) e della ingestione di sostanze stupefacenti spacciate in casa dal genitore (Cass. Civ. 05.10.2011, n. 20365).
- Il grave rischio di pregiudizio psicologico: trattasi di casi in cui, con il rientro nel Paese di residenza abituale, il minore subisca una tale sofferenza morale (da valutarsi in concreto, con l’aiuto di esperti e di psicologi, mediante l’ascolto protetto del minore) da essere insuperabile e dannosa per la sua salute fisica o psichica. A riguardo, la Corte di Cassazione ha vietato il rientro di minori che, nello Stato di residenza abituale, abbiano convissuto con un genitore violento e abbiano assistito a fenomeni di violenza oppure che dalla separazione con il genitore sottraente (soprattutto quando si tratta di bambini in tenera età) il minore possa subire un trauma psicologico (così, Cass. Civ. 04.07.2003, n. 10577, Cass. Civ., 18.03.2006, n. 6081).
- L’esistenza di una situazione intollerabile: trattasi di categoria residuale, in cui far convergere tutti i casi “limite” laddove, pur essendoci il rischio di un pregiudizio, questo non sia riconducibile specificatamente al rischio fisico o psicologico. Ad esempio, si pensi al caso in cui il minore, per effetto del ritorno, pur senza essere maltrattato, si ritroverebbe a vivere in un ambiente di persone dedite all’uso di droga o prostituzione oppure in uno Stato in guerra.
- Il minore si oppone al suo ritorno, sempre che abbia raggiunto un’età e un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere (Art 13, comma 2)
In questo caso, si vuole dare rilevanza alla scelta e alla volontà del minore, il quale, raggiunta una determinata età e un certo di maturità (valutato caso per caso, sempre l’ascolto del minore tramite equipe di esperti), può decidere in quale Paese condurre la propria esistenza.
L’obiezione al ritorno del minore non deve consistere in una generica preferenza, bensì deve essere sorretto da motivazioni espresse in modo libero, chiaro e preciso: ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto di vietare il rientro di una minore in USA in quanto il suo rifiuto era dettato non tanto dalla preferenza della stessa a vivere in Italia con il padre, quanto da un serio progetto di vita, con specifiche aspirazioni lavorative, non prive di risvolti esistenziali ed affettivi (Cass. Civ. 05.03.2014, n. 5237).
- Il ritorno non è “consentito dai principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 20).
Da ultimo, il rientro può essere rifiutato qualora lo Stato di residenza abituale violi i principi sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Questa opzione può essere applicata in diverse circostanze: ad esempio nel caso in cui un minore appartenente ad una minoranza etnica, religiosa o linguistica debba rientrare nello Stato di residenza abituale dove tale minoranza è sottoposta a soprusi o atti di genocidio.
Fattispecie tipiche riguardano, in particolare, il ritorno di bambine in Stati ove vengono tollerate o praticate le mutilazioni genitali femminili o matrimoni combinati con adulti oppure di bambini in Stati in cui non è escluso il rischio di essere arruolato come bambino-soldato.
Prevenire è meglio che curare
Si riportando di seguito alcune prescrizioni fornite dalla Autorità Centrale italiana e rinvenibili sul sito del Ministero della Giustizia
Le norme della Convenzione e le procedure in essa previste si applicano quando la sottrazione si è già verificata. Se si sospetta che possa verificarsi una sottrazione internazionale, si possono adottare alcune cautele:
- non concedere l’autorizzazione al rilascio dei documenti validi per l’espatrio a favore del minore;
- se il minore ha già un proprio documento valido per l’espatrio, chiedere alla questura la revoca dell’autorizzazione all’espatrio;
- se si sospetta che il minore possa essere portato in uno Stato per il quale è necessario il visto d’ingresso, segnalare alle rappresentanze consolari di quello Stato in Italia il proprio dissenso rispetto alla concessione del visto;
- se il minore deve recarsi all’estero insieme all’altro genitore, far sottoscrivere, eventualmente anche innanzi ad una parte terza (ad esempio un notaio, un avvocato, l’autorità consolare) l’impegno a rientrare in Italia ad una data prefissata;
- se non è in corso una causa di separazione, divorzio o affidamento, chiedere al giudice l’emissione di un apposito provvedimento che vieti l’espatrio del minore in mancanza di esplicito e formale consenso di entrambi i genitori;
- se è in corso una causa di separazione, divorzio o affidamento, chiedere al giudice l’emissione di un provvedimento provvisorio che vieti l’espatrio del minore in mancanza di esplicito e formale consenso di entrambi i genitori; chiedere che il provvedimento finale, in caso di affidamento del figlio all’altro genitore, stabilisca chiaramente il luogo di residenza del minore in Italia e il divieto all’espatrio del minore, in mancanza di esplicito e formale consenso del genitore non affidatario/collocatario;
- se è già stata emessa una decisione nella causa di separazione, divorzio o affidamento, far riconoscere nello Stato di appartenenza dell’altro genitore l’eventuale provvedimento di affidamento del minore già ottenuto in proprio favore e/o il divieto all’espatrio del minore in mancanza di esplicito e formale consenso del genitore non affidatario/collocatario.
Avvocato Micol Missana