La violenza di genere e la realtà virtuale. Le conseguenze celate dall’avanzamento tecnologico.
Nel 2016 durante una sessione in multiplayer nel videogioco QuiVr, Jordan Belamire, lo pseudonimo dell’autrice, è stata approcciata da un altro giocatore, il cui username era BigBro442, il quale ha deciso di inseguirla per il mondo virtuale, simulando con il proprio avatar una serie di atti sessuali, sollevando una serie di domande nella comunità sul lato oscuro della convivenza tra i generi nel virtuale.
Jordan Belamire racconta che gli avatar su QuiVr sono minimali, in quanto degli altri giocatori si vedono essenzialmente un elmetto che galleggia nell’aria e le mani, di cui una occupata da un arco con cui scagliare le frecce contro gli zombie. I personaggi non hanno connotazione estetica, men che meno sessuale e l’unica differenza tra un avatar femmina e un avatar maschio è la voce femminile o maschile dell’una o dell’altro. Di fatto, a spingere l’utente a molestare la donna è il semplice fatto che lei avesse una voce femminile e che quindi abbia percepito che si trattasse di una donna, quindi che ne fosse superiore. Belamire ha scritto che ha percepito un disagio concreto, dato che lui continuava a inseguirla, si è tolta il visore e ha smesso di giocare.
Parlando delle molestie subite, l’autrice sostiene che sono sembrate reali, come le vertigini che ha provato quando si è sporta da un cornicione sempre nel gioco. In risposta a coloro che l’hanno criticata come “esagerata” – termine non sconosciuto per quanto attiene la violenza di genere – lei ha commentato che non bisogna mai considerare la realtà virtuale come irreale.
Per motivi come questi, la realtà virtuale potrebbe diventare un ambiente negativo per le giocatrici. Qualcuno ha controbattuto all’articolo di Belamire sostenendo che “la società ha altri problemi a cui pensare” e che, in fondo, la sua storia ha avuto luogo in una “realtà che non esiste” o anche “sono solo giochi, non è la vita reale”. Quest’ultimo passaggio è significativo.
La definizione di molestia è complessa, soprattutto per la difficoltà che la persona riscontra nell’essere creduta e difesa da parte delle altre e, allo stesso tempo, la poca importanza che viene attribuita a tali esperienze al netto dell’opinione di personaggi più o meno di potere. In un mondo in cui le azioni sono cancellabili e replicabili a piacere, c’è la possibilità di non doverne rendere conto a nessuno e quello dei videogiochi si basa su questo principio. Essendo un mondo non tangibile, si fa fatica a prendere la questione sul serio, perché c’è il pensiero che si tratti solo di giochi oppure solo di internet come per il caso di Tiziana Cantone che il 13 settembre 2016 si suicidò dopo la diffusione in rete di alcuni dei suoi video pornografici amatoriali. È stato detto che non si trattava della vera realtà anche davanti al fenomeno della blue whale che ha portato numerosi giovani a togliersi la vita per portare a termine l’ultima richiesta. Più di 130 morti potrebbero davvero non essere considerati una conseguenza reale?
Da studi è emerso che il contrario di virtuale, infatti, è più propriamente la parola fisico. Per quanto si tratti di una dimensione differente da quella sensoriale concreta, il virtuale è assolutamente una realtà dei nostri tempi. Viviamo online, che sia per filtrare la realtà fisica, costruendo narrazioni diverse di noi stessi sui social media, o riempiendo le strade di animali colorati virtuali.
Quello che vige, secondo chi crede che non si tratti di qualcosa di reale, è il principio di deresponsabilizzazione dalle azioni che si compiono nella realtà virtuale. La mancata responsabilizzazione si denota anche in un caso di incidente mortale in Giappone, causato da un uomo mentre giocava a Pokémon Go sul cellulare mentre guidava. In questo caso, dando la responsabilità al gioco, si sottrae il valore della volontà del soggetto e quindi la sua responsabilità, lo si identifica con un bambino e in quanto tale non totalmente responsabile delle sue azioni. Di conseguenza, il valore di persona adulta capace di discernere la gravità, le conseguenze delle proprie azioni viene disconosciuto, ignorato e ci si trova davanti a una sua deresponsabilizzazione.
Sarebbe ingenuo pensare che non ci siano differenze tra una molestia fisica e una virtuale. Appena Belamire si è tolta il visore, il problema BigBro442 si è dissolto, ma non significa che la cosa non abbia conseguenze negative tangibili, in quanto riduce anche le probabilità di voler tornare a giocare. Portando la situazione nel mondo fisico sarebbe come se una persona vorrebbe trascorrere la serata al suo bar preferito, ma ogni volta che ci mette piede viene aggredita da un ubriaco molesto, allora ad un certo punto essa smette di andare in quel bar. Gli effetti concreti della realtà virtuale sono, infatti, determinati anche da disturbi psicologici e psicofisici legati a traumi, come quello della molestia.
Jonathan Schenker, uno dei designer di QuiVr, rispondendo a Belamire ha spiegato come la vicenda lo abbia portato a riflettere da un lato sul perché uno scenario del genere non sia stato previsto in fase di progetto, dall’altro su come fornire ai giocatori uno strumento per difendersi. Egli ha modificato il design del gioco, attivando una cosiddetta personal bubble con cui il giocatore può azionare con un gesto una specie di campo di forza con onda d’urto per allontanare chiunque lo disturbi. Ovviamente, la soluzione proposta da Schenker non risolve il problema a monte, perché non si occupa di educare il molestatore, ma almeno limita i danni.
Due anni dopo, in un sondaggio del 2018 su seicento utenti di realtà virtuale, il 49% delle donne e il 36% degli uomini aveva detto di essere stato vittima di molestie sessuali. Nel mese di dicembre 2021 arriva la prima denuncia del genere sul metaverso di Meta – già Facebook – ed era abbastanza prevedibile. Il 26 novembre 2021 un beta tester di Horizon Worlds ha denunciato di essere stato avvicinato per un tentativo di palpeggiamento da uno sconosciuto.
La revisione interna dell’incidente ha portato a dire che l’utente avrebbe dovuto utilizzare uno strumento chiamato Safe Zone che fa parte di una suite di funzioni di sicurezza integrate nel metaverso. Safe Zone è una bolla protettiva che gli utenti possono attivare quando si sentono minacciati. Al suo interno, nessuno può toccarli, parlare con loro o interagire in alcun modo, fino a quando non chiedono la revoca della zona. Nel mondo fisico, sarebbe come dire ad una donna di rimanere a casa per non subire violenza o molestia di alcun tipo.
Questo incidente è stato definito sfortunato. Il punto è che invece di cambiare le carte in tavola, garantendo l’online come uno spazio dove tutto è lecito, Meta spera di risolvere il problema creando scudi, come se l’isolamento fosse la miglior difesa del metaverso.
Per essere un luogo sicuro per tutti sono necessari dei controlli e delle regole in merito, senza le quali la realtà virtuale non sarà mai un posto sicuro.