L’Italia viene, ancora una volta, “bacchettata” dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per inerzia in un caso di violenza domestica. - DONNEXSTRADA
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L’Italia viene, ancora una volta, “bacchettata” dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per inerzia in un caso di violenza domestica.

Avv. Stefania Crespi

  L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) per il ‘trattamento inumano e degradante’ nei confronti di una donna, poiché le Autorità non hanno agito adeguatamente per proteggerla dall’ex marito violento (c.d. caso De Giorgi).   La donna denunciò ben 7 volte l’ex marito tra il 2015 e il 2019 per averla minacciata di morte, colpita con un casco, aver messo telecamere in casa per controllarla, averla perseguitata, seguita, molestata, per non aver pagato gli alimenti e, infine, aver maltrattato i tre figli.   Orbene, nonostante i rapporti dei Carabinieri, dell’ospedale e dei servizi sociali, i magistrati non hanno preso alcuna iniziativa. Tale inazione ha creato “una situazione di impunità” per l’uomo, che deve essere ancora processato per un atto violento commesso il 20 novembre del 2015; ancora in corso sono le indagini iniziate dopo la presentazione di denunce nel 2016.   La donna ha lamentato nel ricorso la violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 3 e 8 CEDU nel contesto dei reati di violenza domestica e, in particolare, la mancanza di protezione e assistenza da parte dell’Italia a seguito della violenza domestica commessa dal marito.   La Corte ha osservato che “il quadro giuridico italiano era in grado di fornire protezione contro atti di violenza … offriva alle autorità interessate una gamma sufficiente di opzioni adeguate e proporzionate in considerazione del livello di rischio … i p.m., dal canto loro, più volte informati dai carabinieri, non hanno chiesto al G.I.P. il provvedimento cautelare richiesto dai carabinieri e non hanno svolto un’indagine rapida ed efficace …”.   Ma vi è di più: secondo la Corte “l’obbligo di svolgere un’indagine efficace su tutti gli atti di violenza domestica è un elemento essenziale degli obblighi che l’articolo 3 della Convenzione impone allo Stato. Per essere efficace, tale indagine deve essere tempestiva e approfondita … È richiesta una particolare diligenza nel trattare i casi di violenza domestica …”.   La Corte sottolinea l’importanza del “principio di effettività” in base al quale “le autorità giudiziarie nazionali non debbano in alcun caso essere disposte a lasciare impunite le sofferenze fisiche o psicologiche inflitte …”.
E ciò in considerazione della “situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità, morale, fisica e/o materiale, della vittima”, che richiede un intervento celere.   Ed ancora “lasciare la ricorrente a badare a se stessa in una situazione di provata violenza domestica equivale alla rinuncia dello Stato al suo obbligo di indagare su tutti i casi di maltrattamento”.   I Giudici di Strasburgo hanno, quindi, condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione nei suoi profili sostanziali e procedurali ad un risarcimento di 10 mila euro per danni morali.   E non è la prima volta che l’Italia viene condannata: infatti il 7 aprile scorso la Corte di Strasburgo ha inflitto allo Stato italiano una sanzione di 32 mila euro a favore di Annalisa Landi, vittima, con i figli, della violenza del compagno che, nel 2018, uccise il figlio di appena un anno e cercò di uccidere anche la figlia, salvata dalla donna.   Così la Corte si esprimeva “i procuratori sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla”.   La Corte concludeva affermando che, non avendo esercitato la diligenza richiesta, le Autorità Giudiziarie italiane sono venute meno alle obbligazioni positive derivanti dall’art. 2 della Convenzione nella misura in cui stabilisce che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.   La recente pronuncia del caso De Giorgi, al di là della sanzione, appare molto rilevante, in quanto consente di svolgere alcune considerazioni su di un grave reato, quello di maltrattamenti.   Nel 2021 sono stati denunciati più di 13mila casi di violenza domestica; nel 2018 ne sono stati sentenziati oltre 4000. E non sono numeri completamente reali, visto che molte vittime, per paura, decidono di non denunciare.   Il reato di maltrattamenti è un delitto abituale: pertanto per la sua integrazione necessita la ripetizione della condotta. In buona sostanza, il maltrattante continua ad abusare della vittima, creando una situazione di sopraffazione e di prevaricazione nei confronti della vittima.   Ai fini della configurabilità del reato è necessario il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza non solo fisica, ma anche morale, commessa attraverso continue offese verbali.   Proprio per questo l’azione dei magistrati deve essere immediata, dopo la presentazione della denuncia: non è pensabile stare inerti di fronte ad un reato che, per sua natura, vede la ripetizione della condotta.   Va anche sottolineato come spesso i maltrattamenti precedano la commissione di ulteriori e più gravi crimini, come l’omicidio (ad esempio nel caso Landi) o lesioni.   I Giudici di Strasburgo nel caso De Giorgi hanno dettato dei fondamentali e chiari principi che dovranno essere seguiti dalle Autorità Italiane in futuro, in primo luogo al fine di proteggere maggiormente le vittime, in secondo luogo per evitare di riportare ulteriori condanne.   In particolare, la persona offesa nel casi di maltrattamenti non può “badare a se stessa”; non è possibile “lasciare impunite le sofferenze fisiche o psicologiche inflitte” anche perché l’ordinamento italiano dispone degli strumenti per “fornire protezione contro atti di violenza”.   E, quindi, è ora che di fronte alle denunce per maltrattamenti, le Autorità agiscano velocemente, sin dalla fase delle indagini preliminari per interrompere la condotta criminale.   Avv. Stefania Crespi

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