Stalking: il reato che devasta l’anima - Avv. Stefania Crespi - DONNEXSTRADA
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Stalking: il reato che devasta l’anima – Avv. Stefania Crespi

Il nostro ordinamento punisce colui che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Si tratta del delitto di atti persecutori, in inglese stalking, termine che deriva da “to stalk” ossia “avanzare furtivamente” e lo stalker è un “cacciatore all’agguato”. Tali termini sono molto appropriati, in quanto consentono di comprendere immediatamente le caratteristiche della condotta del delitto, nonché quelle dell’agente.

Lo stalker è un “predatore”, colui che agisce per “predare” la vittima che è una “preda”. E quest’ultima cerca in tutti i modi di scappare, come la gazzella che corre disperatamente per sottrarsi dal morso del leone che la insegue.

Si tratta di un reato abituale, per la cui configurazione è necessaria la ripetizione delle condotte di minaccia o violenza. Più precisamente, come ha avuto modo di sottolineare la Cassazione, sono sufficienti almeno due episodi, che devono essere realizzati nell’ambito di un contesto unitario. Pertanto, le singole condotte perdono la loro autonomia e si legano tra di loro.

Con riferimento alla condotta occorre precisare come sia aumentato il fenomeno dello cyberstalking, ossia lo stalking commesso con strumenti informatici; ad esempio l’invio ripetuto di messaggi WhatsApp (Cass. n. 19883/21); oppure la reiterata pubblicazione sui social network di foto o messaggi o video aventi contenuto denigratorio della persona (Cass. n. 26049/2019).

Ciò che contraddistingue, in particolare, il reato di stalking è l’insorgere di un’alterazione nell’equilibrio della vittima, poiché le condotte sono tali da incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla sua condizione psichica.

Non è necessario, sotto il profilo psicologico, un dolo specifico, quindi un’intenzione particolare dell’agente, ma solo il dolo generico, ossia la volontà di porre in essere condotte minacciose o moleste con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi descritti nell’art. 612 bis c.p..

Le vittime di stalking provano molta paura anche quando decidono di rivolgersi a un legale. Il primo timore è che la situazione possa peggiorare, qualora presentino una querela: sono terrorizzate perché temono che lo stalker diventi più aggressivo e faccia loro del male.

Del resto quello che è successo a Vanessa Zappalà è impresso nella mente di ogni vittima di stalking: la 26enne aveva lasciato il fidanzato per il suo comportamento violento e possessivo e lui, rifiutando la fine della relazione, aveva iniziato a perseguitarla, diventando il suo stalker. Vanessa lo aveva denunciato più volte per stalking. E’ stata uccisa con sette colpi di pistola alla testa per strada dall’ex fidanzato, che si voleva vendicare ed aveva preannunciato questa dolorosa fine sui social. Dopo l’omicidio l’assassino si è suicidato, impiccandosi in un casolare nelle campagne di Trecastagni.

Un altro timore delle vittime di stalking è quello di non riuscire a fornire la prova del reato. Nell’ambito del processo occorre fornire la prova del turbamento psicologico, ossia il grave e perdurante stato di ansia o di paura e ciò può avvenire attraverso la produzione di certificati medici, ma anche di messaggi, mail, foto e video.

L’associazione Donnexstrada sottolinea da tempo l’importanza dei video (soprattutto per determinati reati, come i maltrattamenti in famiglia, stalking e anche per le molestie per strada) in considerazione del fatto che, se non vengono fornite prove, il procedimento potrebbe essere archiviato in fase di indagini.

E’ bene vero che dovrebbero essere sufficienti le dichiarazioni delle parti offese che si costituiscono parti civili, purché giudicate credibili. Devono essere valutate dal giudicante con particolare rigore ed attenzione (senza dover applicare l’art. 192, comma 3 c.p.p., in base al quale occorrono altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, Cass. sent. 31 agosto 2021, n. 32381).

La Suprema Corte ha anche precisato che la prova deve essere ancorata ad elementi sintomatici del turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass., sent n. 17795/2017).

Tuttavia, spesso le dichiarazioni della vittima non vengono ritenute sufficienti per proseguire il procedimento (e quindi il Pubblico Ministero richiede l’archiviazione) o per addivenire ad una pronuncia di condanna per stalking.

Pertanto, sarebbe opportuno fornire altre prove, come i video. Del resto la Cassazione da tempo si è espressa sull’ammissibilità degli stessi come prova (ad esempio di inseguimenti o pedinamenti) oppure la registrazione di telefonate, poiché l’uso del video o della registrazione audio non viola le norme sulla privacy e non rientra nella disciplina sulle intercettazioni della polizia giudiziaria (Cass. sent. n. 41020/21).

Pare, infine, opportuno sottolineare come per le molestie per strada spesso il procedimento venga archiviato, in quanto non viene identificato il molestatore. Qualora, invece, si disponesse di un video, l’identificazione potrebbe essere più semplice.

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