IL REGIME DI AFFIDAMENTO DEI FIGLI MINORI NEI CASI DI VIOLENZA DOMESTICA
Qualche mese fa, nel mio articolo relativo ai procedimenti civili in materia di famiglia (https://donnexstrada.org/la-violenza-domestica-e-di-genere-nelle-cause-civili-in-materia-di-famiglia/), citavo il rapporto stilato nel 2020 dal GREVIO, ossia il gruppo di esperti istituito dal Consiglio d’Europa con il compito di monitorare il grado di adeguamento dei vari Stati membri ai principi stabiliti dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Tale rapporto, oltre a quanto già esposto in quell’articolo, osservava non solo che in Italia, secondo i dati ISTAT, in caso di disgregazione del nucleo familiare, si applichi l’affidamento condiviso dei figli minori in circa il 90% dei casi, bensì che, molto spesso viene data priorità alla conservazione del rapporto padre-figlio a prescindere dalla violenza, con la tendenza dunque a trattare in maniera paritaria il genitore violento e quello non violento (par. 37 rapporto GREVIO).
Il GREVIO sottolineava, inoltre, che “le leggi in vigore non prevedono un obbligo esplicito per gli enti istituzionali di garantire che, nel definire i diritti di affidamento e di visita, si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della Convenzione, come richiesto invece dall’Articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione” (paragrafo 180).
Poste tali premesse, è d’obbligo fare chiarezza su quali siano le modalità di affidamento dei figli minori previste dal nostro ordinamento nella fase patologica della vita di coppia (che si tratti di scioglimento del matrimonio ovvero di convivenza more uxorio).
La regola generale è che i figli minori vengano affidati ad entrambi i genitori (affido condiviso).
L’art. 337 ter c.c. sancisce infatti il diritto alla bigenitorialità, laddove dispone che “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Ciò si ripercuote sull’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale, che deve, di regola, essere condivisa: dunque, le decisioni relative alla vita dei figli minori (che incidono su educazione, istruzione e assistenza) devono essere prese di comune accordo fra i genitori.
Ciò non toglie che nella quotidianità, ciascun genitore possa assumere decisioni autonomamente con riferimento a questioni di ordinaria amministrazione, come del resto avviene di norma anche nei nuclei familiari uniti.
La normativa, dunque, precisa che, in caso di disgregazione della famiglia, il giudice debba adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della stessa.
In sostanza, i motivi che hanno condotto alla crisi familiare non possono ripercuotersi sulla crescita dei figli minori: si può cessare di essere una coppia, ma non di essere genitori.
Tuttavia, è da ricordare che la bigenitorialità, come detto sopra, è essenzialmente un diritto dei figli, che, per crescere in modo sano ed equilibrato, hanno bisogno di un rapporto altrettanto equilibrato con entrambi i genitori.
Qualora ciò non sia possibile, ed anzi, l’affidamento condiviso rechi pregiudizio al minore stesso, il giudice può disporre l’affidamento esclusivo ad un solo genitore.
Nella sostanza, laddove emerga l’incapacità di uno dei genitori di assolvere ai propri obblighi nei confronti del figlio, con pregiudizio per la sua educazione e assistenza morale e materiale, può essere disposto, anche su istanza dell’altro genitore, l’affido esclusivo.
Ancora una volta, l’interesse da valutare è esclusivamente quello del minore, in quanto il rapporto fra i genitori non può rappresentare l’unico aspetto da tenere in considerazione; pertanto, la mera conflittualità fra i genitori non preclude l’affidamento condiviso, ma deve emergere una condizione di manifesta carenza o di inidoneità educativa o comunque tale da rendere l’affidamento ad entrambi i genitori pregiudizievole per il minore.
Nella casistica dei Tribunali, le ipotesi più comuni in cui è stato disposto l’affido esclusivo sono le seguenti:
- In caso di volontà del minore che rifiuta ogni rapporto con uno dei genitori;
- In caso di disinteresse del genitore nella cura e verso la crescita dei figli;
- In caso di violazione degli obblighi di mantenimento da parte di un genitore;
- Nel caso in cui venga accertata una patologia psichiatrica per l’effetto pregiudizievole che può avere sui figli;
- In caso di condotte violente poste in essere da un genitore nei confronti dei figli, del partner o di terzi.
Nel caso in cui venga disposto l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, la responsabilità genitoriale viene attribuita al genitore affidatario, salvo che per le decisioni di maggiore interesse che devono essere assunte di comune accordo da entrambi i genitori.
Fra le decisioni di maggiore interesse vi sono senz’altro la salute, l’educazione, l’istruzione e la residenza del minore.
Pertanto, a titolo esemplificativo, qualora venga disposto dal giudice il regime di affidamento esclusivo, il genitore affidatario non potrà, in ogni caso, spostare la residenza del minore senza l’assenso dell’altro genitore.
A tale modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, l’art. 337 quater c.c. pone un correttivo mediante l’inciso “salvo diversa disposizione del giudice”.
Ciò significa che il giudice potrebbe, valutato l’interesse del minore, disporre l’affidamento di questi ad uno dei genitori anche per le questioni di maggiore interesse.
Si tratta dell’affidamento super esclusivo o rafforzato, in quanto le competenze genitoriali vengono concentrate in capo al genitore affidatario anche in ordine alle scelte più importanti riguardanti il figlio, comprese quelle relative alla salute, all’ educazione, all’istruzione ed alla residenza abituale.
Va, tuttavia, chiarito che, anche in questo caso, la titolarità della responsabilità genitoriale non viene intaccata, in quanto il genitore non affidatario ha il diritto ed il dovere di vigilare sull’istruzione ed educazione del figlio, potendo ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni per lo stesso pregiudizievoli. Infatti, solo un provvedimento che dispone la decadenza o la sospensione dalla responsabilità genitoriale potrebbe incidere sulla titolarità della stessa.
Come esposto poc’anzi, uno dei casi in cui la giurisprudenza ha valutato l’applicazione dell’affidamento esclusivo, è rappresentato dalle situazioni di violenza.
Infatti, applicando direttamente l’art. 31 della Convenzione di Istanbul, sopra citata, secondo il quale gli episodi di violenza devono essere presi in esame al fine di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, il Tribunale investito della causa deve considerare che le condotte violente del marito poste in essere in presenza dei figli minori ai danni dell’altro genitore lasciano presumere sia la grave inadeguatezza genitoriale sia il grave turbamento dei minori vittime di violenza assistita.
Per violenza assistita di intende “il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori” (definizione fornita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia).
Senza entrare nell’ambito psicologico, per il quale si rimanda all’articolo della dott.ssa Cinzia D’Intino (https://donnexstrada.org/il-dolore-silenzioso-la-violenza-assistita-sui-minori/) basti in questa sede evidenziare che la violenza assistita incide senz’altro sullo sviluppo psicofisico, oltre che cognitivo e comportamentale del bambino.
Per tale motivo, la Convenzione di Istanbul ritiene estremamente rilevanti gli episodi di violenza nelle decisioni relative ai diritti di affidamento e di visita dei figli minori, in quanto gli effetti della violenza sui questi ultimi non si producono esclusivamente quando siano vittime dirette degli atti violenti, bensì anche quando assistano alla violenza perpetrata nei confronti di un genitore, che rappresenta per il bambino un punto di riferimento per la sua crescita.
Ad avviso della scrivente, nelle situazioni di disgregazione familiare determinata da violenza domestica (per lo più perpetrata dal convivente/marito nei confronti della convivente/moglie) il regime di affidamento più idoneo a garantire la sicurezza sia della donna che dei figli minori è l’affido esclusivo, se non esclusivo rafforzato.
Ciò in quanto le donne, in caso di affido condiviso, si troverebbero costrette a mantenere i contatti con il proprio maltrattante per poter assumere le scelte educative e assistenziali relative al minore e verrebbero così esposte al costante pericolo di subire ulteriori maltrattamenti, oltre al fatto che anche i minori verrebbero esposti nuovamente al rischio di assistere (direttamente o indirettamente) alla violenza.
Ad oggi, pur non essendo previsto espressamente l’obbligo per le istituzioni di tenere conto degli episodi di violenza nel definire il regime di affidamento, come esposto nei primi paragrafi, nel nostro ordinamento vige in ogni caso il principio del superiore interesse del minore, sicché il Tribunale investito della causa potrà applicare direttamente le norme internazionali rilevanti (fra cui l’art. 31 Convenzione di Istanbul) e disporre l’affido esclusivo del minore, ovvero super esclusivo a seconda delle circostanze del caso concreto.
Avv. Arianna Gargiulo