I mille volti della violenza di genere - DONNEXSTRADA
Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

I mille volti della violenza di genere

La violenza di genere. Si sono spesi fiumi di parole per spiegare il significato di tale espressione e ci sono tante definizioni della stessa, ma quali e quanti sono i volti della violenza di genere che una donna oggi deve subire? Siamo abituai a pensare alle vittime di violenza di genere come delle donne indifese ed il “violentatore” come un balordo poco istruito. Ed invece no. Vittima e carnefice possono celarsi dietro insospettabili professionisti, avere mille volti, proprio come la violenza che subiscono o perpetrano, che chiunque potrebbe subire e che può assumere le vesti di misoginia, razzismo, omofobia, o semplice ostilità verso l’altro e verso le sue scelte.

La storia di A., 32 anni incinta, professionista. La scoperta della maternità le ha provocato un turbinio di emozioni contrastanti, lo stupore per questa notizia inaspettata, la paura di non essere abbastanza, la paura di non saper come conciliare la nuova e la vecchia A., la professionista e la madre.

  1. lavorava in uno studio professionale e, causa problemi comuni legati alla gravidanza, ha comunicato sin da subito il suo stato interessante. Le reazioni non sono state come lei si aspettava: una grave misoginia proveniente indifferentemente da uomini e donne e nascosta dietro a banali frasi di circostanza quali “io sono venuta a lavorare fino al giorno in cui ho partorito”, “la tua collega non si è persa un giorno di lavoro”, “ho sempre detto al “capo” di non prendere le donne perché poi creano il problema quando rimangono incinte!”. 
  2. ha scoperto che le nausee tipiche del primo trimestre erano conciliate anche dall’ingiustizia e dalla solitudine della sua posizione. Ella, infatti, alla richiesta di maggior riposo o di ritmi più lenti si è sentita rispondere “questa cosa (la gravidanza) non era nei miei programmi”, come se gli avesse fatto un torto perché aveva deciso di prendermi cura di se stessa e della nuova vita che stava crescendo in lei o come, ancor più grave, aveva osato rimanere incinta senza prima discuterne con lui.
  3. abbandona il suo lavoro. Cominciava sin da subito una caccia alle streghe perché l’addio era un affronto perché “aveva il dovere di lavorare”.
  4. cerca tutela ma tutti le rispondono “pensa alla serenità tua e del tuo bambino. Lascialo stare tanto non risolveresti nulla”.

 

Quanto è successo a A. merita di esaminare la fattispecie di mobbing collegata allo stato interessante della vittima che, secondo la Cassazione deve essere considerata un soggetto vulnerabile. Il mobbing è un’azione ripetuta nel corso del tempo che consiste in umiliazioni, in un atteggiamento aggressivo e offensivo compiuto da un datore di lavoro nei confronti di un dipendente o tra colleghi.Questo termine ha origini anglosassoni infatti “to mob” significa “assalire” ma anche “folla”, quindi la folla che aggredisce il singolo individuo. Il mobbing quindi è una vera e propria violenza psicologica. Per la prima volta lo psicologo Heinz Leymann utilizzò questo termine per far riferimento ad un atteggiamento di questo tipo in ambito lavorativo. Spesso i lavoratori e le mamme incinte credono che il mobbing possa derivare solo dal comportamento del proprio superiore o del capo dell’azienda, purtroppo non è sempre così. Molto frequentemente il mobbing avviene anche tra colleghi dello stesso livello, in questo caso viene chiamato: “orizzontale“. Il mobbing verticale invece si verifica quando un collega di un grado superiore attua una violenza fisica o psicologica nei confronti del collega di grado inferiore. Ci potrebbe essere anche il caso contrario però, in cui le violenze psicologiche partono dal soggetto di grado aziendale inferiore verso il superiore. Il mobbing trasversale invece riguarda persone esterne che sono in accordo con l’autore del mobbing. Coloro che invece vedono tutte le situazioni di mobbing e non intervengono sono definiti co-mobber, in quanto sono complici di chi compie questo tipo di azioni.

Addirittura, se il datore di lavoro minaccia un dipendente per indurlo ad accettare un trattamento peggiorativo rispetto a quello contrattuale può configurarsi il c.d. bossing o peggio ancora concretizzare il reato punito dal codice penale di violenza privata (Cass. 31413/2006). Il fenomeno del bossing, che rappresenta una variante del più generico e diffuso mobbing (comportamento non previsto dalla legge come reato) consiste in atti e comportamenti con carattere sistematico e duraturo, quali la violenza e la persecuzione psicologica posti in essere dal datore di lavoro che mira a danneggiare il lavoratore al fine di estrometterlo dal lavoro.

 

La storia di A. impone una seria riflessione sul mondo delle professioniste mamme.

Secondo le ricerche dell’Osservatorio Nazionale Mobbing negli ultimi due anni circa 800.000 donne sono state costrette a dimettersi o sono state licenziate. Nei casi più gravi queste donne vengono degradate davanti agli altri colleghi che non fanno nulla per difenderle. Le mamme incinte quindi non sempre sono ben viste dai datori di lavoro, sì certamente ce ne sono altrettanti che agiscono correttamente, ma questa è una problematica che riguarda molte donne in tutta Italia.

Viviamo in una società dove se sei madre sei purtroppo un problema per il mondo del lavoro perché devi necessariamente occuparti di qualcuno che non può fare a meno di essere curato. Sei un problema perché non puoi essere una professionista ed una madre in quanto “un figlio ti distrae dal lavoro”, e se provi a conciliare a fatica le due cose verrai etichettata come “quella che pensa alla carriera e non ad accudire abbastanza i figli”.  E se già di tuo non sei l’angelo del focolaio, il dramma emotivo è fatto. Una donna oggi vive una seria difficoltà oggi nel non sentirsi sopraffatta da tutte queste emozioni, tutti questi pensieri. Una donna oggi combatte seriamente con quello che è il peggiore dei volti della violenza di genere perché si annida in noi, viene inculcato in noi sin da bambine: l’altrui costante giudizio che una donna deve subire nel corso della sua vita, il confronto con le altre e con gli altri. E non parlo del confronto costruttivo ma di quello demolitore, quello che annienta l’autostima. Quello che distrugge. La necessità di dover dimostrare sempre più degli altri per poter essere apprezzate. La necessità di dover sempre fare di più per poter sperare di arrivare.

Ecco un nuovo volto della violenza. Se sei donna non puoi avere delle scelte che devono limitare la tua produttività. Tu sei una macchina per “loro”, tu devi mantenere determinati livelli per loro. Tu devi essere sempre disponibile per loro. E poco importa la tua salute, la tua volontà. Tu sarai sempre meno perché vuoi diventare madre.

Questa ideologia però si può e si deve combattere. Nessuno può decidere per una donna e nessuno se non ella sola può scegliere cosa o chi essere. Nessuno può farla sentire meno donna se non diventa mamma e nessuno può farla sentire non affidabile se decide di diventarlo.

Abbiamo gli strumenti. Abbiamo una rete. Usiamola insieme.

 

“Posso essere una donna, una mamma, una professionista, una single, una nullafacente.

Posso essere chi voglio io. E nessuno può volerlo per me.”

 

Avv. Antonella Mazzone

What's your reaction?
0Smile0Angry0LOL0Sad0Love