Il barattolo dei bisogni
<<Dottoressa, mi aiuti!>>
Sara, Carla, Umberto, … sono i nomi (fittizi) di alcune persone che sono entrate nella mia stanza per parlare di relazioni affettive e che, durante il percorso, hanno compreso la vera natura di quelle relazioni. Tutte, infatti, hanno raccontato della loro profonda sofferenza e della loro incapacità di interrompere la relazione stessa. Tuttavia, spesso, la richiesta iniziale è stata quella di recuperare un amore alla deriva, un rapporto che vacillava, chiedendo a me di aiutarle a capire come rimediare, come farsi amare di più.
<<Di che cosa hai bisogno?>>
Quando si lavora con pazienti con dipendenza affettiva, dal mio punto di vista è fondamentale sondare la tematica dei bisogni. Alla domanda <<Di che cosa hai bisogno?>>, spesso segue una risposta che fa pensare ad una mancanza di riconoscimento ed espressione dei propri bisogni da parte dei pazienti. Riferiscono che <<è sempre stato così>>, mettendo gli altri – e quindi la/il partner – davanti a sé o, come direbbe Maslow, in cima alla loro “piramide dei bisogni” primari.
Bisogno psicologico
Soddisfare l’Altro, per chi ha una dipendenza affettiva, è un bisogno; se non lo si soddisfa, nasce il senso di colpa, la frustrazione. Il/la partner diventa qualcosa di indispensabile, anche quando si diventa consapevoli della sofferenza che la relazione crea con il suo disequilibrio. Alla base vi è la paura dell’abbandono: ho bisogno del mio oggetto d’amore per evitare l’abbandono.
Mi sono accorta che anche quando in studio sono giunti pazienti che hanno portato fobie, ansia, attacchi di panico, depressione – e altro – spesso anch’essi esprimevano, attraverso questi sintomi clinici, un grave disagio nella sfera affettiva. Insieme abbiamo visto, passo dopo passo, come la dipendenza fosse la conseguenza di modelli affettivi disfunzionali, che si ripetono e si rafforzano in un contesto di aspettative distorte.
Il barattolo dei bisogni
La difficoltà ed incapacità a riconoscere i propri bisogni, come abbiamo visto, è espressione di strategie inconsce per tenere a sé l’oggetto d’amore. Lavorare con questi pazienti significa portarli alla dimensione del Sé e alla sua centralità. Insieme, per esempio, facciamo finta di avere un barattolo dei bisogni, che dovranno riempire in diversi momenti della giornata. Di fronte alle richieste dell’Altro dovranno prendere il barattolo, aprirlo e, fermandosi ad ascoltare se stessi, provare a riempirlo col bisogno di quel preciso momento. <<Come mi sento?>>, <<Di che cosa ho bisogno adesso?>>, sono le domande che dovranno porsi per aiutarsi ad ascoltare se stessi. Partendo da un barattolo precedentemente riempito insieme con i bisogni psicologici principali (A. Lebruto, G. Calamai, L. Caccico, V. Ciorciari), quali Sostegno, Rispetto, Comprensione, Accettazione, Cura, … , questi pazienti imparano a dare un valore al Sé per anni svalutato.
Vittime di manipolazione?
lo psicanalista Otto Fenichel già nel 1945 introdusse il termine “amore-dipendenti” nel suo libro “Trattato di psicanalisi delle nevrosi e psicosi”, indicando quelle persone che necessitano dell’amore come altri esigono del cibo o della droga. Esse hanno bisogno di essere amate nonostante abbiano poche capacità di amare; elemosinano assiduamente dal partner maggior affetto ottenendo, però, il risultato opposto; si legano a persone che considerano non adatte a loro, ma, nonostante ciò, non riescono a svincolarsi da queste ultime.
Si parla di violenza psicologica quando un individuo mette in atto una serie di atteggiamenti, che mirano a screditare e rifiutare il modo di essere di un’altra persona, al fine di sottometterla, manipolarla e controllarla, provocando spesso una frattura identitaria (Hirigoyen, 2006). Si tratta di un maltrattamento velato, che avviene nel privato per mantenere una buona immagine di sé, infatti, quando la violenza psicologica si manifesta in pubblico, gli attacchi sono in forma ironica in modo da conquistare la stima dei testimoni e portare la vittima a dubitare di ciò che è stato e di ciò che prova. Questa forma di violenza viene chiamata dai criminologi gaslighting, tale termine viene preso in prestito da un film del 1944 diretto da George Cukor chiamato “Gaslight” (rivisitazione italiana in “Angoscia”) in cui un marito tenta di manipolare sua moglie e, per fare ciò, tende a spegnere e a riaccendere le luci della casa, facendole diffidare sia di ciò che vede che di ciò che sente, fino a farle credere di essere pazza (Gass e Nichols, 1988; Power, 2020). Dunque, il gaslighting serve ad aumentare la dipendenza psicologica (Power, 2020).
Conclusione
Per evitare di imbattersi in situazioni manipolative è necessario che queste persone imparino ad ascoltarsi, poiché, se hanno l’impressione di non essere a proprio agio, probabilmente significa che la relazione non sta funzionando come dovrebbe.
Aiutarle a trovare strategie di coping efficaci per fronteggiare situazioni ad alto rischio di ricadute è ciò che viene fatto insieme ad un importante percorso di ricostruzione della propria autostima e del valore dato ai propri bisogni.
Psicologa Ilenia Agosto
Bibliografia
- “Dipendenza affettiva. Diagnosi, assessment e trattamento cognitivo comportamentale”. A. Lebruto, G. Calamai, L. Caccico, V. Ciorciari. Ed. Erickson
- “I Narcisisti Perversi e le unioni impossibili: Sopravvivere alla dipendenza affettiva e ritrovare se stessi”. E.M.Secci. Ed. Abridged
- Gass, G. Z. e Nichols, W. C. (1988). Gaslightining: a marital syndrome. Contemporary Family Teraphy, 10 (1), 3-16
- Giddens, A. (1992). The Transformation of Intimacy: Sexuality, love and Eroticism. Cambridge: Polity Press
- Hirigoyen, M. F. (2006). Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia. Torino: Einaudi
Power, H. J. (2020). Comunicazione persuasiva, la trilogia: persuasione, manipolazione mentale e il linguaggio del corpo. Comunicazione efficace per controllare istantaneamente qualsiasi conversazione. Independently published