Le battaglie di venere - DONNEXSTRADA
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Le battaglie di venere

Rifacendoci ai dati ISTAT circa 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della
propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 31,5% delle donne tra i 16 e i
70 anni ha subito: il 20,2% violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi
di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Soltanto il 35,4% delledonne vittime di
violenza nel corso della vita ritiene di essere vittima di un reato, il 44% sostiene che si è
trattato di qualcosa di sbagliato non di un reato, mentre il 19,4% considerala violenza solo
qualcosa che è accaduto (ISTAT, 2014). Il trauma legato ad abusi fisici, sessuali, psicologici
e/o condizioni di trascuratezza è spesso perpetrato da un familiare, un amico o parente stretto.
Le donne che risperimentano un trauma da adulte sono spesso quelle che si sono sentite
impotenti e senza via di fuga a causa degli abusi subiti da bambine (LoriHaskell, 2004);
Green parlerà del legame tra la coazione a ripetere e dell’identificazione conl’aggressore, che
ha la funzione di sostituire la paura e la sensazione di impotenza con un senso di controllo e
di onnipotenza (Green, 1978; Green, 1980). Proprio per quanto riguardal’identificazione con
l’aggressore e il modo in cui si incorpora l’esperienza d’abuso, esistonodelle differenze tra
uomini e donne. Infatti alcuni studi ci mostrano come gli uomini maltrattati tendono ad
identificarsi con l’aggressore e in seguito vittimizzare gli altri, mentrele donne maltrattate
sono maggiormente inclini alla rivittimizzazione e dunque anche a divenire vittime di se
stesse attraverso condotte autodistruttive (van der Kolk, 1989; Carmenet al., 1984; Jaffe et
al., 1986; Ullman & Filipas, 2005; Tolin & Foa, 2006). Proprio per questo in entrambi i casi
sarà fondamentale lavorare e rielaborare le violenze e gli abusi subiti o a cui si ha assistito
nell’infanzia.
L’incidenza del disturbo da stress post traumatico nel corso della vita è di circa il 10-
12% nelle donne e del 5-6% negli uomini, le prime tendono inoltre ad avere punteggi più
alti nei subcluster quali: la riesperienza del trauma e i livelli di attivazione fisiologica
(Charak et al., 2014). Infatti uomini e donne sperimentano tipi diversi di traumi, sia nella
vita privata che sul lavoro (van der Meer et al., 2017), quest’ultime sono esposte a traumi ad
alto impatto (ad es. Traumi sessuali) e in un’età inferiore rispetto agli uomini. Come la
letteratura scientifica dimostra il trauma nelle prime fasi di vita ha un impatto maggiore,

soprattutto quando parliamo di trauma di tipo II che influisce sullo sviluppo neurobiologicoe della
personalità (Olff, 2017). Diversi studi sottolineano il ruolo di un’esperienza traumatica prolungata
e ripetuta nell’infanzia come possibile fattore di rischio per l’insorgenza di condotte autodistruttive
(Dyer et al., 2013; Green, 1978; Miller, 2007; van der Kolk et al., 1991; van der Kolk et al., 1989).
Questo ci permette di osservare i sintomi autodistruttivi al femminile cogliendone la funzione e il
significato simbolico del sintomo letto alla luce delle precoci esperienze interpersonali come
tentativo di adattarsi e di sopravvivere a un contesto imprevedibile e pericoloso (Miller, 1997).
Infatti negli ultimi anni gli studiosi e i clinici hanno evidenziato sempre di più la connessione tra
le condotte autodistruttive ed esperienze traumatiche durante l’infanzia (van der Kolk et al., 1991;
Briere, 1992; Burstow, 1992; Gratz, 2006). Molti autori hanno parlato delle condotte
autodistruttive come effetti a lungo termine di un trauma cumulativo (Herman, 1992; Finney,
1992), altri hanno analizzato le funzioni di queste condotte e la loro funzione adattiva (Herman,
1992). Elaborare gli eventi traumatici e pian piano allontanare durante il percorso di cura la
negazione, l’impotenza e le emozioni negative croniche (come per esempio paura e vergogna)
può essere quindi un modo per sensibilizzare alla violenza e uscire da cicli intergenerazionali di
maltrattamenti e abusi che inquinano l’individuo, le famiglie, la struttura sociale.

Di Giada Alberti

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