Lo stupro: da delitto contro la moralità pubblica e il buon costume a delitto contro la persona - DONNEXSTRADA
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Lo stupro: da delitto contro la moralità pubblica e il buon costume a delitto contro la persona

Il percorso di codifica dello stupro nella accezione odierna è stato lungo, tortuoso e per nulla scontato, frutto di un cambiamento culturale durato oltre vent’anni.

Bisognerà infatti aspettare il 1996, con l’istituzione del reato di violenza sessuale (o stupro) come delitto contro la persona, per prevedere una pena contro chi obbliga qualcuno a compiere o subire atti sessuali.

Dal Codice Zanardelli… 

Per capire l’evoluzione storica del reato di stupro occorre partire da lontano e precisamente dal primo codice penale (Codice Zanardelli), emanato nel 1889 nel neonato Stato Unitario.

Nel Codice Zanardelli, i reati sessuali venivano distinti in violenza carnale (art. 331: “ogni fatto per il quale l’organo genitale di una delle persone venga introdotto, totalmente o parzialmente, nel corpo dell’altra per via normale o anormale, così da rendere possibile il coito o un equivalente abnorme di esso”, punito con la reclusione da uno a dieci anni) e gli atti di libidine violenti (art. 333, anche definiti  “sfoghi di appetito di lussuria…che non solo soddisfano, ma anche che eccitano la brama sessuale” – sentenza n. 659 del 21 ottobre 1965, la cui pena veniva ridotta di un terzo).

Chiaramente, per verificare se, nei casi sottoposti ai Giudici, il reo avesse commesso una violenza carnale o un atto di libidine, nei Tribunali (con udienze aperte al pubblico) si svolgeva una vera e propria analisi dell’atto, costringendo la vittima alla dettagliata ricostruzione delle dinamiche dei fatti al cui esito, molto spesso, la donna appariva come colei che aveva scatenato l’appetito sessuale dell’uomo.

Entrambi i reati erano collocati all’interno dei delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie: infatti, la tutela accordata alle donne era considerata nei limiti della sua funzione sociale e del ruolo che la stessa assumeva nell’ambito della famiglia e della società.

I reati indicati assumevano valenza unicamente a causa delle conseguenze pubbliche del fatto criminale (e cioè come crimini contro la procreazione, all’interno della famiglia legittima, a maggior ragione se avvenuti contro donne sposate, e la potestà familiare del marito o del padre).

La tutela della vittima passava in secondo piano rispetto alla tutela accordata ai valori della famiglia e alla sacralità del ruolo della donna come madre, moglie e figlia.

…al Codice Rocco

Anche il successivo Codice Rocco (entrato in vigore il 1° luglio 1930, in pieno regime fascista, e tuttora vigente) disciplinava i delitti di violenza carnale e di atti di libidine, collocandoli tra le fattispecie poste a salvaguardia “Della libertà sessuale” e, più specificatamente, “della moralità pubblica e del buon costume”.

Il nuovo Codice, quindi, pur perdendo il riferimento all’“ordine delle famiglie”, continuava a ritenere detti reati come contrari alla moralità pubblica: ancora una volta, quindi, l’offesa derivante da un atto sessuale non consenziente non si riteneva arrecata contro la persona che subiva (infatti, la libertà sessuale non veniva considerato come diritto personale), ma contro la pubblica moralità (e quindi contro l’onorabilità della famiglia e dell’irreprensibilità delle condotte di tutti i suoi membri).

Conseguentemente, anche la protezione accordata alla donna che subiva un atto di violenza carnale o di libidine trovava ragione non nella lesione di un suo diritto e libertà personale, ma in ragione dello status che ella assumeva nell’ambito della famiglia e della società (tanto che le pene, qualora la donna-vittima fosse stata non maritata o addirittura meretrice, erano addirittura ridotte).

La rivoluzione culturale iniziata nel 1965

La vera svolta storica arriva nel 1965, con la storia di Franca Viola che, dopo essere stata rapita e stuprata violentemente, si sottrasse al matrimonio riparatore (era infatti possibile assolvere il reo dal reato di violenza carnale se avesse poi sposato la donna stuprata) e denunciò il suo rapitore, Filippo Melodia. Malgrado i tentativi di screditare la donna e l’ambiente ostile, Melodia fu condannato a 11 anni di carcere.

Dieci anni dopo, nel 1975, il “massacro del Circeo”, che ha visto come vittime due ragazze, Rosaria (deceduta a seguito dei fatti) e Donatella, brutalmente picchiate e stuprate per due giorni da tre ragazzi della “Roma bene” Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, sconvolse tristemente l’opinione pubblica, riaccendendo i riflettori sulla violenza carnale.

Dacia Maraini, a riguardo, scrisse un articolo, da cui emerge tutta l’ipocrisia di quel tempo, laddove l’opinione pubblica, da una parte, era attenta nel compiangere le due ragazze, dall’altra parte, era costantemente preoccupata nel sapere se Rosaria fosse vergine o meno. Dacia Maraini definisce questo timore come costante nella cultura dello stupro, dove la verginità è caratteristica principale per attribuire onore e innocenza ad una giovane donna. Secondo questa logica, una ragazza che subisce violenza carnale sarebbe innocente solamente nel caso in cui essa risultasse vergine prima dell’accaduto e se si fosse opposta con tutte le sue forze durante. Ma se la vittima dovesse già aver avuto esperienze sessuali alle spalle, allora si insinuerebbe l’insano dubbio se essa avesse realmente opposto resistenza o se non fosse in realtà consenziente. In ogni caso se la sarebbe andata a cercare.

A seguito dei fatti del Circeo, per la prima volta, migliaia di donne e movimenti femministi si sono riuniti in proteste e grandi manifestazioni in piazza per sottolineare la problematica della violenza maschile contro le donne, spesso proprio giustificata partendo dalle abitudini, sessuali o meno, della donna stessa.

Altro caso che suscitò l’indignazione pubblica è quello di Fiorella, 18 anni, che nel 1978 denunciò la violenza carnale subita da quattro uomini, fra cui Rocco Vallone, un suo conoscente. Fiorella dichiarò di essere stata invitata da Vallone in una villa di Nettuno, per discutere una proposta di lavoro come segretaria presso una ditta di nuova costituzione, di essere stata sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da Vallone stesso e da altri tre uomini.

Nella propria arringa, gli Avv. Giorgio Zeppieri e Angelo Palmieri, difensori di Vallone, così dicevano: “La violenza c’è sempre stata. E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire ‘Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?’ Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente… Lei non dice che le hanno fatto violenza e non può dirlo, perché non ci sono i segni»”.

L’Avv. Tina Lagostena Bassi replicava però a tono: “Quello che è successo qua dentro si commenta da solo, ed è il motivo per cui migliaia di donne non fanno le denunce, non si rivolgono alla giustizia… Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!”

Il processo venne ripreso dalla televisione di Stato e fu mandato in onda dalla RAI, il 26 aprile 1979 (interamente anche su Youtube, “Processo per stupro”). Quella sera le televisioni italiane trasmisero lo spettacolo di una mentalità capace di trasformare la vittima in istigatrice e quindi imputata.

Lo stupro come delitto contro la persona

È quindi proprio (anche) grazie a questi avvenimenti di cronaca, a queste donne e ai movimenti femministi che è stato possibile ottenere numerose leggi:

  • tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che puniva unicamente l’adulterio della moglie;
  • nel 1970 è stata approvata la legge sul divorzio (L. 1 dicembre 1970, n. 898)
  • nel 1975, con la riferma del diritto di famiglia, è stata abolita l’autorità maritale e riconosciuta la parità delle donne all’interno della famiglia;
  • nel 1978 alle donne è stato riconosciuto il diritto ad abortire (L.194/1978) sull’aborto;
  • nel 1981, con la legge n. 442 del 5 agosto 1981, veniva abrogata la rilevanza penale della causa d’onore, la commissione di un delitto perpetrato per salvaguardare l’onore proprio e della propria famiglia (art. 587 c.p.) non sarebbe stato più sanzionato con pene attenuate, cancellando così il presupposto che l’offesa all’onore arrecata da una condotta “disonorevole” costituisse una provocazione gravissima tanto da giustificare la reazione dell’“offeso”.

Non solo.

Questi fatti di cronaca mostravano all’opinione pubblica l’urgenza di un cambiamento a tutto tondo della società italiana, genando la spinta necessaria per l’avvio del difficile cammino legislativo verso la modifica del codice penale volto a considerare i reati di violenza carnale come «reati contro la persona».

Prima del legislatore, è arrivata la giurisprudenza che ha ri-definito i reati contro la liberà sessuale, evolutivamente adeguandoli ai mutati valori sociali e al nuovo contesto ideologico della società contemporanea e riconsiderando la libertà sessuale, non più come libertà funzionale alla società, ma come diritto che inerisce all’individuo ed esclusivamente ad esso, come interesse individuale dotato di propria autonomia e di rango esclusivo rispetto a quello categoriale.

È quindi soltanto con la Legge 66 del 15.02.1996 che viene tipizzato il reato di violenza sessuale (o stupro) come delitto contro la persona e cioè contro la libera autodeterminazione della donna nella propria sfera sessuale.

La riforma pone finalmente l’accetto sulla persona, in quanto tale, che ha subito la violenza sessuale, mettendo definitivamente da parte quella visione autoritaria e paternalistica che impediva la tutela della donna proprio in quanto persona. La nuova legge del 1996 ha quindi definito un assetto di tutela imperniato proprio sul rispetto della volontà da parte della donna, sulla difesa dell’autodeterminazione della persona, anche e soprattutto in ambito sessuale.

Cos’è dunque oggi lo stupro (art. 609-bis c.p.).?

Lo stupro (o violenza sessuale) si configura quanto chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali, pena la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Un aspetto significativo del nuovo reato è dato dall’unificazione in un’unica fattispecie, la violenza sessuale, della violenza carnale e degli atti di libidine violenti. L’unificazione nasceva dalla volontà di tutelare la vittima ed evitare l’ulteriore umiliazione nella sfera privata e intima dovuta alle indagini per distinguere le due fattispecie (indagini che spesso inducevano la vittima a non denunciare).

I prossimi passi

Tuttavia, nonostante l’unificazione dei reati di violenza carnale e atti di libidine violenti, poiché la pena per la violenza sessuale è molto elevata, i giudici sono portati a dover distinguere comunque le ipotesi più gravi dai meri comportamenti libidinosi. Si attribuisce cioè al giudice il compito di graduare, con la conseguenza per cui vengono spesso rivolte alle vittime domande per approfondire la dinamica del fatto, il conteso in cui si è svolta la violenza, i rapporti tra reo-vittima etc.

Di fatti, troppo spesso, tanto nelle aule giudiziarie, quanto presso le tv generaliste e sulla carta stampata, i casi di stupro vengono analizzati e trattati ponendo l’accento sulla vittima, sulle circostanze in cui si svolti i fatti, finanche invitando le donne a non indossare la gonna o a non bere troppo, correndo il rischio di attirare attenzioni sessuali non desiderate (c.d. victim blaming o colpevolizzazione della vittima).

A tale proposito, le parole di cui all’arringa sopra riportata degli Avv. Giorgio Zeppieri e Angelo Palmieri risultano tristemente attuali.

Ancora, l’art. 609-bis c.p. ha mantenuto la scelta di imperniare la condotta incriminata sugli elementi della violenza e della minaccia come mezzi tipici per obbligare al rapporto sessuale, laddove avrebbe dovuto invece elevare ad oggetto della tutela la libertà in sé, indipendentemente da imposizioni che si traducano in violenza o minaccia.

Ci si interroga quindi oggi se sia il caso di intervenire nuovamente sulla norma, eliminando i riferimenti alla “violenza” e “minaccia” e preferendo la dizione “contro la volontà” o “contro il consenso della vittima”. Così, si riuscirebbero a ricomprendere in modo più immediato nel reato di violenza sessuale anche i particolari casi di violenza del coniuge o comunque del partner, dove non sempre l’atto sessuale viene imposto con violenza o minaccia.

In conclusione, la fattispecie penale del reato di violenza sessuale è in continua evoluzione, seguendo la crescente maggiore sensibilità e ed evoluzione culturale dell’opinione pubblica verso il rispetto della libertà sessuale e di autodeterminazione delle persone, comunque in divenire.

Dagli anni ’60 ad oggi molti il quadro normativo è mutato, ma molti passi avanti devono ancora essere fatti.

Avvocato Micol Missana

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