RIFLESSIONI SULLA 194: UNA LEGGE PRO VITA GARANTISCE IL DIRITTO ALL’ABORTO? - DONNEXSTRADA
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RIFLESSIONI SULLA 194: UNA LEGGE PRO VITA GARANTISCE IL DIRITTO ALL’ABORTO?

“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.

Questo è il prologo dell’articolo 1 della legge 194 del 1978, che, a 45 anni dalla sua approvazione, è lontana dall’essere perfetta.

Una legge vecchia, anacronistica nei contenuti e nel linguaggio, ma che resta il solo testo di legge in Italia che permette di esercitare un diritto fondamentale della donna: scegliere della propria vita riproduttiva.

 

Questo diritto, oggi, è davvero garantito? 

Rileggendo con attenzione la frase citata all’inizio, si capisce come, già dalle prime espressioni scelte, il fine del legislatore non fosse quello di garantire un diritto di scelta, quanto quello di regolamentarlo, limitandone l’accesso.

“Procreazione”: termine che nessuna persona nel 2023 utilizzerebbe mai per parlare della sfera legata al riprodursi e alla scelta di non farlo. La donna già nella prima frase è investita da un compito sacro, quello di “creare” una nuova vita. Compito che in alcuni casi, semplicemente, non vuole.

“Maternità”: la donna è necessariamente “madre” e questo DEVE avere un valore aggiunto, persino nella sfera sociale. Una donna che non vuole essere madre questo valore non lo ha.

“Tutela della vita umana dal suo inizio”: l’obiettivo della legge espresso chiaramente fin dall’inizio è tutelare il prodotto del concepimento.

 

Una corsa ad ostacoli

Da qui in avanti la legge costruisce una sorta di “corsa ad ostacoli” in cui:

  • i consultori vengono istituiti per “contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” ed hanno il compito di esaminare con la donna le cause e le possibili soluzioni con lo scopo di rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione.
  • Il medico, una volta svolto il suo compito di ricercare possibili soluzioni, invita la donna a soprassedere per sette giorni, salvo in caso di urgenza.
  • Il personale sanitario e quello ausiliario non sono tenuti a prendere parte alle procedure di interruzione di gravidanza qualora sollevi la nota “obiezione di coscienza”. Gli enti ospedalieri, tuttavia, sono tenuti dalla legge a garantire che in ogni struttura sia garantito il servizio di IVG, anche facendo ricorso alla mobilità del personale.

L’architettura della legge ha permesso, certamente, alle donne dal 1978 ad oggi di poter abortire in maniera legale e sicura, tenendo saldo, tuttavia, il principio che portare avanti la gravidanza sarebbe la decisione migliore, avere un figlio “sarebbe (stato) meglio”.

 

Quanto è attuale questo pensiero?

Nasciamo e cresciamo in una società che ci ha illuso di essere liber* di determinare chi essere, come esserlo e quando, in qualsiasi ambito, compresa la sfera riproduttiva.

Contraccezione, social freezing, fecondazione medicalmente assistita, autologa o eterologa, hanno reso la riproduzione, come qualsiasi altro aspetto della specie umana, pieno di possibilità e di opzioni di scelta. Va preso atto di questo, come di qualsiasi altro processo che fa parte dell’evoluzione umana, a prescindere dalla propria convinzione personale.

Ci siamo allontanati dalla società che nel ‘78 approvava una legge che ha rappresentato una preziosissima conquista di quegli anni, ma quella stessa legge, oggi, ci àncora al passato.

La sfida del futuro, si spera il più prossimo possibile, sarà quella di cambiare e migliorare questa legge, cercando di superare quegli aspetti che oggi rendono faticoso il percorso di interruzione volontaria di gravidanza, partendo dall’utilizzo di un linguaggio inclusivo e non giudicante, fino ad arrivare ad un percorso sanitario accessibile su tutto il territorio nazionale.

 

Un’ultima nota, a margine: su quarantacinque paesi europei l’Italia è al ventiseiesimo posto per accesso e diffusione della contraccezione.

Non è forse questo il punto da cui tutti noi, dalla politica alla società civile, dobbiamo partire?

 

Giampiero Esposito, medico specialista in ginecologia. Milano.

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