The battered woman syndrome e il ciclo della violenza - DONNEXSTRADA
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The battered woman syndrome e il ciclo della violenza

The battered Woman Syndrome

Il termine “The Battered Woman Syndrome” (BWS) fu usato per la prima volta nel 1977 come titolo di uno studio, portato avanti da Lenore Walker. La “battered woman” è la donna che è stata vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner, marito o ex partner. La base teorica su cui si impianta il BWS è simile a quella del disturbo post traumatico da stress. Questo studio è andato a sistematizzare quei segni e quei sintomi che mostrano le donne vittime di violenza fisica, sessuale e/o psicologica in una relazione intima da parte del partner, solitamente di sesso maschile.

Le donne vittime di violenza domestica presentano risposte differenti dalla tipica risposta “fight or flight” (“combattere o scappare”) che si attiva durante un pericolo. La donna riesce a riconoscere l’aumento della rabbia del partner e per questo inizia a provare paura. Successivamente la vittima comprende qual è la minaccia e decide se affrontare il problema o se fuggire, che, in questo caso specifico, significa cercare una fuga o fisica o psicologica. In una situazione in cui la donna non crede di poter fuggire, di potersi salvare, è fondamentale provare il minimo dolore possibile (Walker, 1992).

Il legame traumatico

La sindrome descritta da Walker si basa anche su altri concetti di base come ad esempio la sindrome di Stoccolma, ovvero l’induzione nella vittima di un modello disfunzionale a mantenere un equilibrio durante l’esposizione ad un trauma; è un processo di continuo riadattamento psicologico della vittima. Nella sindrome di Stoccolma, infatti, la vittima prova un sentimento positivo per il suo carnefice, nonostante i maltrattamenti e le violenze.

L’altro concetto su cui si fonda la BWS è quello del legame traumatico. Il legame traumatico si instaura in quelle relazioni dove vi è una persona che domina l’altra e dove ritroviamo un abuso costante ma intermittente. Gli studiosi Dutton e Painter hanno analizzato diverse ricerche scientifiche e sono giunti alla conclusione che ciò che spiega il rimanere in una relazione violenta è proprio la caratteristica intermittente della violenza. Il legame formato in queste situazioni di maltrattamento è caratterizzato, infatti, anche da sentimenti positivi verso il proprio carnefice (Dutton e Painter, 1981). Questi legami si strutturano su una imparità di potere tra il perpetratore e la vittima. L’uomo utilizza l’autorità coercitiva sulla donna portandola ad interiorizzare la visione negativa che l’aggressore ha di lei. Questa iniquità di potere crea allo stesso tempo una relazione simbiotica e la donna diventa dipendente e legata all’uomo (Rhatigan, Street, Axsom, 2006). La dipendenza si struttura sullo squilibrio di potere, tutto nelle mani dell’uomo, e, quando la donna prova a modificare questa situazione, l’uomo risponde con la violenza, agita o minacciata. Il legame traumatico può portare la vittima ad avere una autovalutazione delle risorse personali compromessa, sentendosi inadeguata e debole (Reale, 2016). Le donne vittime di violenza spesso sono vittime del controllo e del potere del perpetratore, che tende ad isolarle dalle loro relazioni interpersonali e sociali e a trattarle con possessività.

La svalutazione e la denigrazione continua portano la vittima di violenza a sentirsi impotente, incapace e inferiore. Gli uomini usano la paura e le minacce per forzare la donna a rimanere nella relazione violenta. I perpetratori di violenza spesso inducono la paura attraverso i figli, minacciando la donna di portarglieli via o di fargli addirittura del male.

Un’altra caratteristica della violenza domestica è rappresentata dalla forte gelosia espressa dal partner maltrattante. Parlare con altri uomini, salutarli o trascorrere del tempo con loro, spesso comporta maltrattamenti fisici da parte dell’abusante. Il sesso viene usato come mezzo per sottomettere la donna.

La violenza di genere produce nella vittima un senso di impotenza appresa, in quanto spesso la vittima non può rispondere alla violenza, bloccata dalla paura, per sé e per gli altri, come ad esempio i figli. In più bisogna considerare come il partner tende spesso ad umiliare la donna, a svilirla, a svalutarla e a farla sentire incapace e inutile. Questa sensazione provata dalla donna viene ulteriormente rinforzata, in maniera sia positiva che negativa, dal ciclo della violenza (Walker, 1992).

Il ciclo della violenza

Il ciclo della violenza è un ciclo di tre fasi (Walker, 1992):

  • fase 1: durante questa fase c’è un graduale aumento della tensione; il partner violento esprime insoddisfazione e ostilità verso la donna ma non in forma esplosiva. La donna cerca in qualche modo di calmarlo, facendo ciò che pensa possa tranquillizzarlo o comunque non aggravare la situazione. A volte queste tecniche funzionano e la donna crede di poter controllare l’uomo. Questa prima fase è fondamentale per costruire l’impotenza appresa della donna.
  • fase 2: la tensione aumenta ancora di più e la donna inizia ad avere sempre più paura, perché percepisce che c’è un pericolo e soprattutto non è più in grado di “controllare” la rabbia del compagno. In questa seconda fase avviene la violenza vera e propria e con il passare del tempo la donna impara a predirla sempre più facilmente, arrivando, addirittura, a partecipare all’esplosione della violenza così da poter scegliere dove e quando avviene, per potersi difendere. In questo momento non c’è via di fuga per la vittima, a meno che l’uomo non lo permetta. In questa fase tutta la tensione precedentemente accumulata viene riversata ferocemente sulla donna sotto forma di aggressioni sia verbali che fisiche. Questa fase termina quando l’uomo finisce di picchiare la donna e questo comporta una riduzione della tensione, funzionando da rinforzo per il comportamento aggressivo.
  • fase 3: è la fase della cosiddetta “luna di miele”, in quanto l’uomo si pente di ciò che ha fatto e allora si scusa profondamente con la donna oppure cerca di aiutarla. L’uomo mostra tutto il suo rimorso, la sua premura e la sua bontà, arrivando a fare dei regali alla donna ma soprattutto a prometterle che la violenza non si ripeterà mai più. La donna crede all’uomo, pensando di poterlo cambiare. Questa fase è spesso caratterizzata dalla mancanza di tensione o violenza, che fungono da rinforzi per la donna. Questa riconciliazione è la fase necessaria per rompere la resistenza psicologica della donna (Herman, 1992).

Con il passare del tempo la fase 3 e la fase 1 si accorciano sempre di più, sfociando più velocemente nella violenza, ovvero la fase 2. Nei legami traumatici vi è un elemento fondamentale ovvero l’aumento graduale degli eventi abusanti. Questo incremento è proprio ciò che porta la donna ad una forma di adattamento. Man mano che gli episodi diventano più violenti la donna si convince sempre di più che la violenza si ripresenterà a meno che non faccia qualcosa per prevenirla (Reale, 2016).

Un’altra teoria, utilizzata da Walker (1992) per spiegare il fenomeno della “battered woman syndrome”, è quella dell’impotenza appresa di Seligman del 1975, citata precedentemente. La learned helplessness o impotenza appresa è essenzialmente un comportamento passivo tenuto in situazioni di disagio o di dolore. Nel momento in cui un individuo è posto in una situazione spiacevole e incontrollabile allora avrà la tendenza a diventare passivo e accetterà gli stimoli dolorosi. Secondo Lenore Walker, il ciclo della violenza unito al concetto di impotenza appresa, possono in qualche modo spiegare le dinamiche dell’abuso. L’abuso, infatti, provoca nella vittima un disorientamento che non le permette di valutare in maniera lucida la situazione violenta, che viene percepita come legittima e giustificabile. Come scritto precedentemente, le vittime di traumi spesso tendono ad avere pensieri distorti sul sé e sull’evento traumatico, e molto spesso tendono a darsi la colpa di quanto stia accadendo. La situazione di violenza domestica, caratterizzata dalla brutalità e dalla incontrollabilità ma anche dalla superiore forza fisica dell’uomo, conduce la vittima ad una sensazione di impotenza. L’aggressore, inoltre, manipola la vittima in quanto le fa credere di essere incapace di scappare o di reagire. La sensazione di impotenza della vittima è rinforzata essenzialmente da tutti i tipi di prevaricazione subìti dalla donna, basti pensare all’isolamento sociale che spesso caratterizza le vittime di violenza domestica o anche la violenza economica che spesso sono costrette a subire. Per riuscire a sopravvivere le donne devono usare strategie come la minimizzazione, la negazione della gravità e l’inibizione del ricordo, ma anche l’auto colpevolizzazione e, per l’appunto, l’impotenza appresa. Queste strategie sono le strategie che permettono alla donna la sopravvivenza, che la difendono dalle violenza e le permettono, infine, anche di poter uscire dalla situazione di pericolo.

Questa teoria è ulteriormente caratterizzata da periodi intermittenti di negatività e di positività, che come sottolinea la Walker fungono da rinforzi per la donna. Viene ipotizzato come la ciclicità di questi momenti comporta un sempre maggiore legame della donna con il suo abusatore, dovuto proprio ai rinforzi sia positivi che negativi. Questa teoria spiega bene, in particolare, quelle relazioni dove vi è una aggressione fisica da parte dell’uomo.

La Battered Woman Syndrome attingendo a teorie differenti evidenzia i meccanismi che portano alla creazione di una dipendenza o comunque di un legame con l’aggressore (Reale, 2016).

La consapevolezza da parte delle donne del ciclo della violenza può essere un’arma potente per aiutare le vittime di violenza di genere e violenza domestica. Attraverso la comprensione di questi meccanismi le donne possono difendersi e difendere chi vicino a loro. Riconoscere il ciclo implica riconoscere di essere all’interno di una relazione abusante, così da poter chiedere aiuto e sostegno per interrompere il ciclo della violenza.

Psicoterapeuta Alessandra Mosca

Bibliografia

  • Dutton, D. G., & Painter, S. L., Traumatic bonding: The development of emotional attachments in battered women and other relationships of intermittent abuse. Victimology: An International Journal, 6(1-4), 139-155, 1981
  • Herman, J. L. (2005), Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo, Edizioni Ma.gi, Roma, 2011
  • Reale, E., Maltrattamento e violenza sulle donne. Vol. II- criteri, metodi e strumenti per l’intervento clinico, Franco Angeli editore, Milano, 2016
  • Rhatigan, D. L., Street, A. E., & Axsom, D. K., A critical review of theories to explain violent relationship termination: Implications for research and intervention. Clinical psychology review, 26(3), 321-345, 2006
  • Walker, L. E., The battered woman syndrome, Springer Publishing, New York, 1992

 

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